Congresso di Cancun: la svolta della Cina? Un errore di traduzione

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Le speranze che il congresso di Cancun potessero essere un successo sono durate appena un paio di giorni, il tempo che i delegati cinesi correggessero il tiro. La cosiddetta “svolta verde della Cina” che qualche giorno fa sembrava dover portare al prolungamento del Protocollo di Kyoto e all’impegno da parte dei Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni è stato solo un errore di traduzione.

E’ bastato che l’addetta alla traduzione dal cinese all’inglese prendesse lucciole per lanterne che immediatamente si è scatenato un polverone. Todd Stern, capo negoziatore degli Usa, aveva immediatamente capito cosa stava accadendo, ma quando cercava di spiegarlo ai giornalisti, questi erano convinti che fosse solo una tattica per prendere tempo perché la dichiarazione cinese aveva colto tutti di sorpresa, Stati Uniti compresi. Ieri purtroppo siamo tornati con i piedi per terra.

Il capo delegazione Xie Zhenua ha preso la parola e, nonostante non abbia detto apertamente che la traduzione fosse sbagliata, ha però spiegato, stavolta in inglese in modo che tutti potessero capire, la posizione del suo Paese: sì agli investimenti sulle rinnovabili, sì alla riduzione “generica” della CO2, ma nessun impegno vincolante sui numeri né limiti allo sviluppo industriale. Come in un gioco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza.

E gli Usa? Nel frattempo hanno potuto riorganizzarsi, e così nella giornata di ieri è stato l’ammiraglio Tidley a prendere la parola per dire qualcosa che Oltreoceano sembra un tabù: il riscaldamento globale esiste ed è davanti agli occhi di tutti noi. Per spiegarlo ha portato ad esempio il caso della zona artica, dove si è passati da oscillazioni lievi di congelamento e scongelamento a perdita di intere aree enormi di ghiaccio ogni anno; ha ammesso il pericolo di innalzamento dei livelli dei mari, il rischio di siccità, carestia, acidificazione degli oceani ed insomma tutti quei pericoli che gli scienziati cosiddetti “catastrofisti” affermano da tempo. Detto da un ufficiale della marina statunitense però fa un certo effetto, anche perché ha aggiunto che gli Usa “faranno la guerra ai mutamenti climatici”. In cosa consista questa guerra qualcuno ce lo spiegherà, ma già il fatto di aver preso coscienza del problema è un passo in avanti.

Nella giornata di ieri, oltre che di questo, si è parlato delle strategie energetiche per sostenere i Paesi poveri che non hanno accesso, o hanno accesso limitato, alle rinnovabili. Partendo dal presupposto che un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo non ha accesso all’elettricità e 3 miliardi cucinano ancora con le biomasse classiche (legna, carbone, ecc.), l’obiettivo è di ridurre all’osso questi dati entro il 2015, permettendo l’accesso all’energia a chi non ce l’ha, per arrivare al 2030 all’obiettivo più ambizioso: non ci dev’essere nemmeno una persona in tutto il mondo che non possa accedere alla rete elettrica. Ma per evitare che si aggravi il bilancio ambientale, l’energia a cui si punta è ovviamente quella rinnovabile, obiettivo se possibile ancora più difficile da raggiungere.

Oggi è l’ultimo giorno dei colloqui e si lavorerà fino a tarda notte per trovare un accordo. Solo se si stilerà un trattato, seppure non perfetto come richiesto da più parti nei giorni scorsi, si potrà sperare che i colloqui internazionali possano avere ancora un valore, e di conseguenza anche l’ambiente potrà avere una speranza di evitare le conseguenze catastrofiche su cui sempre più scienziati concordano.

[Fonti: Corriere della Sera; Repubblica; the Guardian]

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