Rinnovabile significa posti di lavoro, “Italia torna indietro con il nucleare”, parola di Epifani

di Redazione 4

All’assemblea dell’Associazione Bruno Trentin svoltasi ieri a Roma sono intervenuti ieri personaggi di spicco del mondo del lavoro italiano ed internazionale, tutti riuniti per dibattere del futuro dell’industria e soprattutto dei posti di lavoro. Tutti erano d’accordo: per creare occupazione c’è bisogno di green economy, e alla base della green economy ci sono le rinnovabili.

A parlare è principalmente Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil, a cui si sono affiancati il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, il segretario dell’Ueapme (l’associazione europea delle piccole e medie imprese) Andrea Benassi, il presidente della Lega Coop Giuliano Poletti, il segretario della Cgil Susanna Camusso, e colui che ormai è diventato la voce internazionale dell’economia verde: Jeremy Rifkin.

L’idea di base sostanzialmente si può riassumere con dei concetti molto semplici: il futuro dell’economia è costituito dalle rinnovabili, che producono posti di lavoro (decine di volte in più del nucleare), riducono sia i costi che l’inquinamento, danno maggiore stabilità contro i blackout e soprattutto distribuiscono ricchezza, che in un mondo che cerca di uscire dalla crisi economica più terribile della storia diventa fondamentale.

Un esempio lo porta proprio Rifkin: visto che l’Italia è uno dei Paesi più conservatori al mondo, dove non cambia mai nulla, è evidente la volontà dei politici di lasciare tutto invariato. Questo significa puntare ancora sul petrolio, ma proprio il petrolio è stata la causa del disastro nel Golfo del Messico che, secondo l’economista, è stato 6-7 volte peggiore di quello della Exxon Valdez. Un disastro che si può ripetere ovunque (stiamo vedendo cosa sta accadendo in Sardegna), e che sempre si ripeterà.

Secondo Epifani, se l’alternativa al petrolio è il nucleare, l’Italia rischia di fare un insensato passo indietro nella storia economica di questo Paese:

Vent’anni fa la terza rivoluzione industriale sembrava un’utopia, oggi è il modello verso cui marciano le tre economie più importanti: Stati Uniti, Germania e Cina. Il nuovo sta crescendo ma in Italia il vecchio resiste. L’88% dell’energia viene ancora dai fossili e la scelta del Governo di far ripartire il nucleare è in netta controtendenza rispetto all’andamento dei mercati. Il 62% degli investimenti è concentrato sulle fonti rinnovabili e la percentuale tende a salire. In questo quadro che senso ha puntare come minimo 20 miliardi di euro nella costruzione di quattro nuove centrali e accantonarne più del doppio per uno smaltimento corretto delle scorie e degli impianti?

Per avere un’idea di quanto ci guadagneremmo con le rinnovabili, Antonio Filippi, rappresentante Cgil, dà qualche numero. Per produrre un terawattora di elettricità, una centrale nucleare ha bisogno di 75 lavoratori, il comparto eolico 918 e quello fotovoltaico oltre mille. Sembrerebbe più conveniente il nucleare, ma se consideriamo che si creerebbero oltre novecento posti di lavoro si capisce come, dal punto di vista occupazionale, non ci sono paragoni, e poi questo non significa che una persona ne deve pagare 900 anziché 75, ma che si creerebbero centinaia di centrali eoliche, a differenza di 4 nucleari, in cui i costi e i ricavi sarebbero ripartiti.

In questo modo le spese sarebbero abbattute, ed i guadagni non arriverebbero tutti nelle poche tasche degli azionisti delle centrali nucleari, ma nelle tantissime tasche di piccoli e medi imprenditori che avviano una centrale solare o eolica. Secondo l’Istituto di ricerche economiche e sociali, attualmente il comparto della green economy in Italia ha già creato centomila posti di lavoro, ma può raggiungere i 250 mila posti. E allora torna la domanda di Epifani: che senso ha investire sul nucleare, togliendo risorse alle rinnovabili?

[Fonte: Repubblica]

Commenti (4)

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