Il fallimento della CO2 sotterranea e del carbone pulito

di Redazione 4

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Per risolvere uno dei più grandi problemi dell’ambiente, l’emissione selvaggia di CO2, si era inventato un metodo per ridurla senza diminuire i consumi. Un pò come si fa per una cosa che non si vuole che gli altri vedano, così si è pensato bene di nascondere la CO2….sottoterra.

Risultato: ad oggi questa tecnologia è immatura, costosa e rischiosa. Questo processo avviene grazie al cosiddetto CCS, un processo mediante il quale si cattura CO2 prodotta dalle centrali termoelettriche e lo si immagazzina nel sottosuolo. La “magagna” sta nel fatto che le centrali giustificano la loro produzione di di inquinamento attraverso il processo CCS, ma in realtà in nessuna parte del mondo questo processo avviene sul serio, e ad oggi non esiste alcun esempio di CCS applicata a impianti di scala industriale.


Inoltre, secondo gli studi seri sul settore, si è concluso che questo genere di tecnologie è immaturo, e sarà pronta solo per il 2030 circa, quando ormai sarà troppo tardi per salvare il pianeta da una crisi climatica. Anzi il danno è maggiore dei benefici. Infatti sembrerebbe che, usando i CCS, l’efficienza degli impianti a cui viene applicato venga ridotta, causando anche un danno economico alle centrali stesse. Per recuperare i costi le aziende saranno costrette ad aumentare il costo dell’energia elettrica, con il rischio di non ottenere alcun beneficio per il clima.

Dal rapporto stilato da Greenpeace sembra quindi che il carbone pulito non esista, e che l’inaugurazione delle nuove centrali pulite, come quella recente di Civitavecchia, siano solo trovate pubblicitarie per l’Enel, dato che l’inquinamento prodotto è sempre lo stesso (circa 10 milioni di tonnellate di CO2 all’anno). Inoltre, ammesso che questa tecnologia diventasse attuabile, lo stoccaggio sotterraneo di CO2 è rischioso perchè non è garantito uno stoccaggio sul lungo periodo, e poi basterebbe un piccolo sfiatatoio trovato nel terreno per rimettere in circolo tutto ciò che viene eliminato, rendendo inutile tutto il lavoro. Peggio ancora se, come previsto, alcuni siti di stoccaggio fossero collocati negli oceani. Immaginate una perdita, anche minima, che danni potrebbe provocare alla fauna marina. La dimostrazione di ciò che potrebbe succedere è già avvenuta circa vent’anni fa in Camerun quando, in seguito ad un’esplosione vulcanica presso Lake Nyos, si sprigionarono enormi quantità di CO2 accumulate per secoli nel fondo del lago, uccidendo 1.700 persone nell’arco di 25 km, una specie di piccola bomba atomica.

Le previsioni però sono positive. Infatti l’idea di base non è tutta da buttare, e si è previsto che, a tecnologia matura, entro il 2050 le emissioni mondiali potrebbero essere dimezzate rispetto addirittura al 1990. Il problema fondamentale è che, se utilizzate oggi che non sono ancora pronte, produrrebbero solo danni. Il dilemma però potrebbe essere risolto se, anzichè gettare soldi in ricerche costose e inutili, si investissero nelle nuove tecnologie, in forme di produzione elettrica pulite, in cui nessun CCS provocherà danni.

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