Il lungo cammino verso Kyoto 2: a Bangkok il Giappone contestato dai Paesi in via di sviluppo

di Redazione 4

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Il protocollo di Kyoto, sottoscritto l’11 dicembre del 1997 da più di 160 Paesi, ed entrato in vigore nel 16 febbraio del 2005, prevede l’impegno ad una riduzione delle emissioni di gas serra del 5,2% rispetto a quelle registrate nel 1990. Riduzione da compiersi nel periodo 2008-2012.
Ma si parla già di un Kyoto 2 per fissare nuovi parametri ed obiettivi di riduzione dei gas serra dopo il 2012.

Si è concluso venerdì sera a Bangkok l’incontro, sotto l’egida dell’Onu, dei delegati di più di 160 Paesi, giunti ad un ulteriore accordo per arrivare entro il 2009 ad una nuova risoluzione per la riduzione delle emissioni.


Dopo la road map approvata a Bali lo scorso dicembre nella 13/a Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, questo è il primo di una serie di incontri. Nel 2008 si terranno altre tre conferenze.

  • A Bonn a giugno si tratterà di investimenti finanziari nelle nuove tecnologie.
  • In Ghana, in Africa, tra fine agosto ed inizio settembre, si affronterà il tema della deforestazione.
  • A Poznan, in Polonia, si discuterà a dicembre 2008 del nodo cruciale di tutte le sessioni di incontri: i progetti di cooperazione a lungo termine per ridurre le emissioni.
A Bangkok c’è stato un duro attacco contro il tentativo del Giappone di sfuggire al taglio delle emissioni previste dal protocollo di Kyoto in vigore, tramite il cosiddetto sectoral approach (approccio settoriale), sostituendo ai parametri attuali un conteggio delle emissioni che avrebbe incluso Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo.
L’attuale protocollo non vincola i Paesi in via di sviluppo, come l’India e la Cina, a ridurre le emissioni.

U Wei, direttore generale del China’s Office of National Leading Group on Climate Change, ha detto che l’approccio settoriale azzardato dal Giappone è in realtà il tentativo di trasferire ai Paesi in via di sviluppo le responsabilità di ridurre le emissioni. La proposta giapponese è stata ovviamente respinta da tutti i Paesi in via di sviluppo.

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