Marea nera, perché così tante trivellazioni nel Golfo del Messico?

di Redazione 1

L’esplosione della piattaforma petrolifera Mariner Energy nel Golfo del Messico è l’ultimo di una serie di disastri legati alle trivellazioni nell’area che si estende tra il Sud-Est degli Stati Uniti e lo stato messicano. Ma perché così tante società trivellano nel Golfo, e come mai c’è così tanto petrolio in quell’area? Il petrolio, la linfa vitale dell’economia Occidentale di oggi, si pensa provenga da resti di piccoli organismi che vivevano milioni di anni fa, ma la trasformazione chimica esatta per cui questo avviene rimane ancora qualcosa di misterioso.

I geologi tuttavia pensano che il passato antico del Golfo del Messico abbia creato la situazione del petrolio attuale.

E’ un luogo in cui le condizioni sono l’ideale per creare il tipo di proteo-materiali per petrolio e gas

ha dichiarato Harry Roberts, geologo marino del Louisiana State University a Baton Rouge, secondo cui la formazione geologica ha prima creato questa enorme riserva di petrolio e poi l’ha intrappolata per millenni.

Il motivo principale per cui il Golfo del Messico è un focolaio così gettonato è perché è imbottito di rocce cosiddette “originarie”. Queste rocce si formarono milioni di anni fa durante il Cretaceo, pre-Cretaceo e Giurassico superiore, ai tempi dei dinosauri. Queste rocce, tuttavia, hanno creato qualcosa di molto più piccolo dei dinosauri: strati di alghe sul fondo dell’oceano. La maggior parte dei geologi pensa che il petrolio che raggiunge la terra (per poi essere raffinato in benzina e altri carburanti), proviene prevalentemente dai fossili della vita marina, come le alghe e il plancton. Al tempo in cui il Golfo del Messico stava solo iniziando a formare l’oro nero, ha cominciato a dividersi creando zone umide costiere che sorgono quando le maree e i fiumi scaricano del fango nella zona. Queste zone umide paludose diventano così la dimora naturale delle alghe, che sono materiali organici ricchi di lipidi.

I tappeti algali sono cresciuti in tutto il perimetro del Golfo, ma nel tempo, un massiccio flusso di sedimenti, sepolti nei resti di questi tappeti, li hanno trasformati nelle rocce originarie, depositate nel profondo la Terra. Le temperature roventi all’interno della Terra poi hanno letteralmente “cotto” queste rocce, trasformandole da lipidi ricchi in petrolio e gas.

Oggi, questa massa di petrolio e gas naturale si è spostata indietro fino al fondo del mare, a causa di percorsi naturali che avvengono all’interno della Terra. Questi percorsi sono particolarmente abbondanti nel Golfo del Messico, ha concluso Roberts il quale, insieme con i colleghi, ha mappato oltre 8.000 giacimenti di petrolio e gas nel Golfo del Messico. Cosa significa? Che le trivellazioni continueranno ancora a lungo, e finché i controlli e le regole non diventeranno molto ferree, continueremo ad essere a rischio di maree nere.

Fonte: [Livescience]

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