Singapore diventa la prima città ad auto-sufficienza idrica pur non avendo fonti d’acqua

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Khoo Chye Teng, il capo dell’agenzia dell’acqua di Singapore si è finalmente svegliato dopo 5 anni dall’inizio del mandato, e ha impresso una svolta al sistema idrico della città asiatica. A differenza dei suoi predecessori alla Public Utilities Board, Khoo non vuole che il suo Paese dipenda dalle risorse di quelli ricchi, ma vuole raggiungere l’auto-sufficienza, almeno per quanto riguarda l’acqua, per la sopravvivenza a lungo termine e per lo sviluppo.

Grazie alla tecnologia, Singapore ha ora la capacità di generare gran parte della propria acqua e si prepara a svolgere un ruolo di primo piano nel riciclaggio delle acque usate, un settore emergente del valore di circa 100 miliardi di dollari a livello mondiale.

Questo processo si baserà sulla depurazione dell’acqua su larga scala e relativamente a buon mercato, visto che si finisce con il purificare gli scarichi delle lavorazioni chimiche. Con una superficie di soli 700 chilometri quadrati, Singapore non ha molti fiumi da cui trarre le risorse per sopravvivere, e così molto spesso, per stessa ammissione di Khoo, si deve fare affidamento alla sola acqua abbondante che c’è in quelle terre, quella che arriva dal cielo con la pioggia.

Il governo ha trasformato i due terzi di tutta l’isola in un grande bacino per le abbondanti piogge che cadono tutto l’anno per tagliare i condotti che provengono dalla Malesia da cui si riforniva fino a poco tempo fa. Oggi esiste una rete di drenaggio delle acque piovane di 7 mila km suddivisa in 15 serbatoi, che diventeranno prossimo anno 17.

Siamo probabilmente l’unica città o Paese al mondo che ha un piano urbano di raccolta delle acque piovane su così vasta scala

ha spiegato Khoo. Come parte del suo obiettivo, Singapore sta trasformando in serbatoi alcuni laghi che possono ospitare gli sport acquatici e altre attività ricreative. Le brutte condotte delle fognature e i canali invece saranno trasformati per assomigliare a dei fiumi e dei torrenti naturali.

Il punto di svolta per Singapore è venuto nei primi mesi del 2000, dopo che i miglioramenti nella tecnologia hanno reso possibile e conveniente il trattamento delle acque reflue su vasta scala. Questa si basa su una varietà di processi che utilizzano filtri semi-permeabili piuttosto che le sostanze chimiche o l’energia elettrica per separare l’acqua dalle sostanze contaminanti ed impurità.

Il prodotto è sicuro da bere e utilizzare e per far girare i motori dell’economia di Singapore. Il tutto con un investimento di “soli” 5 miliardi di dollari di Singapore (meno di due miliardi e mezzo di euro) per costruire le infrastrutture nel corso degli ultimi sette anni. Dimostrazione che non ci vuole tanto per rendere un Paese auto-sufficiente dal punto di vista dell’acqua, anche senza fonti dirette. Ma il dato triste è che tale ingegno (ed anche l’impegno) sorge sempre in caso di necessità e non in previsione futura perché tanto, finché le risorse ci sono, l’uomo continua a sprecarle nella totale indifferenza.

Questa iniziativa ha interessato la statunitense General Electric, la Siemens e alcune società tedesche e olandesi che hanno intenzione di istituire centri di ricerca per sviluppare nuove soluzioni per soddisfare le esigenze di acqua del mondo, mentre alcuni progetti sono stati già avviati in Qatar e in Algeria. L’Italia ha acqua in abbondanza, ma farebbe bene a prendere in considerazione tali investimenti. Questa sì che sarebbe politica sostenibile.

Fonte: [Alternet]

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