Summit di Copenaghen: riassunto del dodicesimo ed ultimo giorno

di Redazione 2

riunione capi di stato copenaghen

Il summit di Copenaghen si è concluso ieri, in tarda notte, anche se a livello ufficiale praticamente i giochi si sono conclusi alle prime ore dell’alba. Il risultato per alcuni (specialmente Cina e Stati Uniti) è una vittoria risicata, per altri (Paesi insulari e poveri in generale) è stata una cocente sconfitta, ma l’impressione generale è che si sia trattato di un pareggio che rimanda tutto, per usare una terminologia calcistica, al “match di ritorno” che si terrà da qui a un anno.

Con l’arrivo di Barack Obama nella notte del 17 sembrava che si dovesse trovare un accordo finale, ed infatti una sorte di accordo è stato trovato, ma di certo non quello che scienziati, ambientalisti e Paesi in via di sviluppo si aspettavano. Obama ha subito dichiarato che ci saremmo dovuti accontentare di un accordo, anche se imperfetto, ma sembra che quello trovato sia completamente sbagliato.

Il punto più importante, quello che salta all’occhio, è che non ci sono vincoli. Non si può parlare dunque di trattato vincolante (questo, se tutto va bene, sarà firmato tra un anno), ma in un certo senso di quello che diceva il delegato cinese due giorni fa, e cioè di un semplice “accordo politico di qualche tipo“. Le uniche cifre che sono state fatte sono quelle del massimo di incremento della temperatura media globale, fissata a 2 gradi centigradi, e gli aiuti ai Paesi poveri. Ma se sul fondo l’accordo può anche andar bene (10 miliardi entro il 2012, 50 entro il 2015 e 100 miliardi entro il 2020), quello sull’incremento delle temperature non va bene affatto. La maggior parte degli scienziati concordano col dire che, per com’è adesso la situazione delle emissioni, se poniamo il limite ai 2 gradi, con molta probabilità si arriverà ad aumentare le temperature di 3-3,5 gradi. Ciò che i Paesi insulari chiedevano, per evitare di essere inondati dall’aumento del livello degli oceani, era che le temperature si sarebbero dovute alzare di al massimo 1,5 gradi.

Per poter evitare disastri enormi, l’obiettivo globale sarebbe dovuto essere quello di tagliare del 50% le emissioni di tutto il mondo entro il 2050. Per raggiungere questo obiettivo, i Paesi industrializzati avrebbero dovuto far registrare un -80%, mentre i Paesi poveri avrebbero dovuto effettuare tagli minori. Ed è proprio questo il punto che ha fatto saltare tutto. Cina e Brasile, per non soffocare la loro economia, erano disposti soltanto a diminuire le loro emissioni, senza peraltro avere vincoli precisi, e non addirittura tagliarle. Così si capisce perché le cifre sul taglio delle emissioni sono scomparse.

Gli obiettivi a medio termine, per tentare di mantenere l’innalzamento delle temperature entro i 3 gradi, prevedevano un taglio delle emissioni entro il 2020 dei Paesi industrializzati del 25-40%. La media oggi non supera il 18% nella migliore delle ipotesi. A tirar tutti verso il basso è ancora una volta proprio la nazione di Barack Obama, la quale ancora dibatte sulla consistenza o meno dei dati sul riscaldamento climatico, e che sembra non voler impegnarsi ulteriormente rispetto a quanto previsto all’inizio, e cioè il taglio del 17% rispetto al 2005, che rapportato al 1990, come fa l’Europa, significa una diminuzione di solo il 4% delle emissioni, troppo poco per avere un effetto concreto.

Gli Stati Uniti e la Cina dicono che si tratta di un accordo positivo perché è meglio di niente, e poi perché andrà rivisto a dicembre 2010, nel 2012 e nel 2016, ma se le premesse sono queste, sarà molto difficile che si possa fare meglio di così.

Commenti (2)

  1. per la prima volta sento che siamo davvero in pericolo..senza parole per brasile cina e USA..meglio l’economia della sopravvivenza terrestre

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