Crisi alimentare e cambiamenti climatici: una relazione pericolosa

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La metà della popolazione mondiale potrebbe trovarsi a fronteggiare una grave crisi alimentare dovuta ai cambiamenti climatici entro il 2100. E’ quanto predetto da una recente ricerca effettuata da un team di ricercatori dell’Università di Washington, coordinato dal professor David Battisti, esperto in scienze atmosferiche.

A quanto pare, il rapido innalzamento delle temperature rischia di alterare gravemente i raccolti nelle zone tropicali e subtropicali, entro la fine di questo secolo e, senza possibilità di reazione alcuna in quanto processi irreversibili se non in milioni di anni, lascerà la metà della popolazione mondiale a dover far fronte a gravi carenze di cibo.

Ad aggravare le già funeste previsioni, il fatto che la popolazione equatoriale – da circa 35 gradi di latitudine nord fino a 35 gradi latitudine sud – è tra le più povere del pianeta e sta crescendo più velocemente che in qualsiasi altro luogo. Come spiega lo stesso Battisti:

Le sollecitazioni sulla produzione agricola mondiale e la temperatura in aumento da soli bastano come fattori atti a scatenare un’emergenza alimentare, senza contare che il surriscaldamento globale porta ad una carenza idrica senza precedenti.

Battisti ha collaborato con Rosamond Naylor, direttore della Stanford University sul programma sulla sicurezza alimentare e l’ambiente, al fine di esaminare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla produzione di derrate alimentari del mondo. Spiega Naylor:

Questo è un motivo valido per noi, per investire nelle capacità di adattamento delle piante, perché è chiaro che questa è la direzione in cui stiamo andando, in termini di temperatura, e ci vorranno decenni affinchè si possano sviluppare nuove varietà di colture alimentari in grado di sopportare  un clima più caldo.

Combinando le osservazioni dirette con i dati provenienti da 23 modelli climatici globali che hanno fruttato l’assegnazione del premio Nobel per la ricerca nel 2007, Battisti e Naylor hanno determinato che vi è più del 90% di probabilità che entro il 2100 le temperature minime registrate nelle zone tropicali e subtropicali saranno superiori a qualsiasi temperatura registrata fino ad oggi.
Le gravi condizioni climatiche non saranno limitate ai tropici, concludono gli scienziati. A titolo di esempio, si citano le temperature record che hanno colpito l’Europa occidentale nel mese di giugno, luglio e agosto del 2003, uccidendo, secondo le stime, 52.000 persone. La lunga estate di caldo in Francia e in Italia ha ridotto le rese del frumento e la produzione dei foraggi di ben un terzo. Nella sola Francia le temperature sono state di quasi 6,5 gradi Fahrenheit al di sopra della media e gli scienziati affermano che queste saranno temperature normali a partire dal 2100.

Nei tropici, le temperature più elevate ridurrano le rese delle principali colture alimentari, mais e riso, dal 20 al 40 per cento. Inoltre, l’aumento delle temperature influirà sull’umidità del suolo, riducendo ulteriormente i rendimenti.
Attualmente circa 3 miliardi di persone vivono nelle zone tropicali e subtropicali, e il loro numero è destinato a diventare quasi il doppio entro la fine del secolo. La zona si estende dal sud degli Stati Uniti al nord dell’Argentina e al Brasile meridionale, da nord India e Cina meridionale a sud Australia e a tutta l’Africa.
Gli scienziati spiegano che molte persone che ora vivono in queste aree sussistono con meno di 2 $ al giorno e dipendono in gran parte dall’agricoltura per la propria sussistenza.
Il frumento, per fare solo un esempio, rappresenta un quarto delle calorie consumate in India, ma la crescita nella produzione del grano è rimasta stagnante nell’ultimo decennio, mentre la popolazione continua a crescere. Occorre dunque ripensare i sistemi agricoli nel loro complesso, pensando a nuove varietà adatte a climi più caldi.

[Fonte: University of Washington (2009, January 9). Half Of World’s Population Could Face Climate-induced Food Crisis By 2100. ScienceDaily. Retrieved January 9, 2009, from http://www.sciencedaily.com­ /releases/2009/01/090108144745.htm]

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