Congresso di Durban: nei tempi supplementari gli Usa firmano il rinvio, e si scoprono persino i sabotatori

di Redazione 2

Che qualcuno remasse contro i negoziati sul clima, già lo si sospettava. Ma che queste persone lavorassero alla luce del sole, bè questo è davvero incredibile. Fatto sta che sabato sera è stato reso noto che tra i banchi dei delegati delle varie nazioni è stata fatta circolare una bozza di trattato a firma Europa, Messico, Brasile, Sudafrica, Cina e India, secondo cui i trattati si sarebbero dovuti iniziare già a metà 2012 e concludersi entro il 2020. Per fortuna che i delegati di questi sei Paesi se ne sono accorti in tempo (peraltro la data era sbagliata ed il carattere usato non era quello corretto) ed hanno sconfessato tale testo in quanto, nella delicata partita sul clima, sarebbe bastato questo per far saltare il tavolo.

L’intento probabilmente era di far innervosire gli Stati Uniti, che appena il giorno prima si erano dichiarati non disponibili a fissare la data del 2015 come scadenza per stabilire un trattato, e che di fronte all’obbligo di un anticipo di tale data di persino tre anni, se ne sarebbero potuti andare anzitempo. Poco dopo però ha cominciato a circolare la vera bozza, che è quella che vi avevamo illustrato ieri (obiettivi stabiliti da ogni singolo Stato, accordo entro il 2015 ed entrata in vigore dal 2020) e tutto si è risolto.

La conferenza si sarebbe dovuta concludere nella serata di sabato, ma poi è proseguita fino al pomeriggio della domenica in quelli che sono stati definiti “tempi supplementari”, in sostanza per convincere a firmare gli Stati Uniti visto che gli altri Paesi erano più o meno tutti d’accordo con l’iniziativa europea. Ed in effetti quelle ore in più, forse prendendo per stanchezza i delegati americani, sono servite a far firmare anche gli Usa, i quali però hanno ottenuto la condizione che nel 2015 si potrà riparlare di un trattato a patto che l’Europa prosegua con il prolungamento del Protocollo di Kyoto. Come se il problema fosse l’Europa.

[Fonte: The Guardian]

Photo Credits | Getty Images

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