Summit di Copenaghen: riassunto del terzo giorno

di Redazione 5

Xie Zhenhua copenhagen

Il congresso di Copenaghen entra nel vivo, ma purtroppo non tanto dei trattati, quanto delle polemiche. Un documento circolato ieri in via non ufficiale ha fatto imbestialire i rappresentanti dei Paesi poveri, che sono arrivati a minacciare di far saltare ogni tipo di accordo e abbandonare i lavori. Questo foglio, che passava di mano in mano tra i delegati europei, andava contro ogni buon proposito della vigilia.

Il primo punto che ha fatto arrabbiare i rappresentanti del G77 riguarda la gestione dell’eventuale nuovo protocollo, il quale non sarebbe più stato gestito dalle Nazioni Unite, bensì dai Paesi industrializzati. La bozza prevedeva inoltre emissioni doppie per i Paesi ricchi rispetto ai poveri ed il fondo per l’adeguamento alle tecnologie pulite non sarebbe più stato gestito dall’Onu, ma dalla Banca Mondiale. Queste tre proposte hanno letteralmente rischiato di far saltare il vertice. Per fortuna, in extremis, l’Europa si è salvata, grazie ad un intervento del responsabile del clima dell’Onu, Yvo De Boer, il quale ha spiegato che non si trattava della proposta definitiva, ma solo di una bozza stilata prima dell’inizio del vertice, e che era stata affidata ai giornalisti solo a titolo “informativo”. Ovviamente non sarà più riproposta, ma intanto la tensione resta.

A stemperare il clima ci ha provato la Cina, la quale ha teso una mano agli Stati Uniti. Questi due Paesi insieme rappresentano quasi la metà delle emissioni di gas serra a livello mondiale, e dunque si capisce come i fili dell’accordo siano ben saldi nelle loro mani. Rispondendo all’appello dell’Europa, che minacciava di tornare al vecchio obiettivo, quello del taglio del 20% entro il 2020 se Cina e Stati Uniti non avessero fatto la loro parte, Xie Zhenhua, delegato cinese, ha proposto di dimezzare le emissioni del suo Paese entro il 2050 e ha chiesto agli Stati Uniti di aumentare la soglia delle emissioni in patria (che attualmente è al 17% entro il 2020) come punto di partenza di un eventuale accordo.

Barack Obama, il quale era tanto propenso al taglio delle emissioni, ha una gatta molto difficile da pelare, e cioè la ferma opposizione nel Parlamento americano da parte dei Repubblicani, ed anche di alcuni suoi colleghi Democratici. Essi infatti basano la loro lotta sul fatto che non ci sono studi scientifici precisi che convergono tutti sugli stessi dati, e dunque essendoci molta confusione, forse è meglio evitare di prendere accordi troppo vincolanti che potrebbero danneggiare l’economia americana.

La Cina intanto chiede ai Paesi ricchi di aumentare le loro riduzioni, mitigando un po’ l’iniziale richiesta del “minimo” 40% entro il 2020 ad un limite che vada dal 25 al 40%, in linea con le richieste europee. Tutto però, come al solito rimane sempre nelle mani degli States. La seconda richiesta che proviene dai Paesi in via di sviluppo è di non limitarsi al finanziamento di 10 miliardi all’anno per affrontare i cambiamenti climatici, ma di “sborsare” di più, anche se questo punto sarà trattato nei prossimi giorni. L’impressione è che finirà tutto come pronosticato da De Boer, con un accordo “politico ma non vincolante” a Copenaghen, rimandando tutto di un anno, ad un altro congresso dove si discuterebbe di numeri concreti.

Commenti (5)

  1. a me interessa molto il congresso di copenaghen perchè lo sto studiando e penso che sia un buon inizio per cambiare la situazione problematica in cui siamo entrati. grazie mille ciao

  2. forse lo era, ma quello che ne è uscito non pare essere la stessa cosa che si sperava! speriamo nel prossimo…

  3. Bisogna fermare assolutamente le fossili per limitare il disastro della CO2! Questo i governi dovrebbero capirlo perchè ne va della salute del pianeta!
    Più rinnovabili (ma con con criterio e senza deforestare per far spazio ai pannellli fotovoltaici) e meno centrali a carbone!!!

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