Ecco come reagirà l’Artico al cambiamento delle temperature

di Redazione 2

permafrost artico

Con il riscaldamento dell’Artico, il permafrost si degrada, potenzialmente portando a conseguenze di un aumento del deflusso delle acque sotterranee nella terra gelata, in cui era rimasta bloccata, sciogliendo tale ostacolo e facendo riprendere il flusso interrotto. Per studiare come i sistemi idrici sotterranei si evolveranno in seguito all’aumento delle temperature in superficie, V. F. Bense, ricercatore della School of Environmental Sciences, University of East Anglia, Norwich, UK, e colleghi, hanno sviluppato un modello per simulare una falda acquifera idealmente coperta da uno strato di permafrost.

Avviando la simulazione, sono stati presi in considerazione tre scenari possibili, a partire da tre temperature di superficie iniziale (-2, -1,5, e -1 gradi centigradi, o 28,4, 29,3 e 30,2 gradi Fahrenheit), corrispondenti a diversi spessori del permafrost. In ogni caso, i ricercatori sono arrivati ad osservare come, in seguito all’aumento della temperatura media della superficie stagionale di 3 gradi C (5,4 ° F) in più di 100 anni, la regione artica è in grado di reagire. I 3 gradi sono una media dei modelli di previsione per l’aumento della temperatura nell’Artico nel prossimo secolo, ed una stima tra le più ottimistiche per il resto del mondo.

Questi i risultati: dopo il periodo di riscaldamento, in ogni scenario la temperatura è stata poi mantenuta costante per i successivi 1.100 anni (ipotesi piuttosto irrealizzabile, ma dovuta per stabilizzare i risultati).

Gli autori hanno scoperto che, nonostante la distribuzione iniziale del ghiaccio influenzato dal cambiamento delle condizioni meteo, in tutti i casi il flusso delle acque sotterranee, dei torrenti e dei fiumi, è accelerata nel corso del tempo. In effetti, i risultati indicano che un sostanziale aumento del flusso di acque sotterranee diventa molto probabile nel corso dei secoli successivi, anche se la temperatura dell’aria in superficie si stabilizzerà ai livelli attuali.

La ricerca è stata pubblicata sull’ultimo numero della rivista scientifica Geophysical Research Letters.

[Fonte: Sciencedaily]

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