Marea nera, parte la spedizione di Greenpeace, obiettivo indagare sui danni all’ecosistema

di Redazione 1

Marea nera non è più soltanto l’incubo innescato nel Golfo del Messico dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, quel maledetto 20 aprile scorso. Ormai è diventato un modo di dire a identificare eventi simili o anche catastrofi che non hanno a che vedere con il petrolio ma hanno la stessa portata immensa della dispersione provocata dalla BP. Gli incendi che stanno colpendo la Russia sono stati appellati la marea nera di Mosca, a testimoniare che il mondo è rimasto profondamente colpito da quella falla inarrestabile che seminava morte in streaming e che non se ne dimenticherà tanto facilmente.

Ma l’incubo nero è lontano dal considerarsi archiviato. Ce ne ricorderemo sicuramente a lungo perché se ne parlerà, anno dopo anno, testimoniando gli effetti sugli ecosistemi marini, sull’economia costiera, sulla catena alimentare, sul clima. Di sicuro non se ne dimenticherà Greenpeace che ha appena annunciato l’invio della nave rompighiaccio Arctic Sunrise, in missione, per tre mesi, nell’area del Golfo del Messico.

La spedizione degli ambientalisti vuole andare a indagare sul campo per capire la reale dimensione della catastrofe. E fanno bene, dal momento che la BP, lo sappiamo, non si fa certo scrupolo a manipolare dati, ritoccare foto e diffondere le più verdi previsioni sul futuro. Greenpeace vuole inoltre indagare sulle vere cause

affinché non si ripeta mai più un disastro come questo.

L’Arctic Sunrise salperà questa settimana da Tampa (in Florida), passando per le Florida Keys e le Dry Tortugas, prima della tappa cruciale nell’area del pozzo di Macondo. Qui i tecnici studieranno l’impatto del disastro sui coralli, sui pesci e sull’intero ecosistema marino, avvalendosi del supporto degli scienziati presenti a bordo, esperti in varie discipline:

Nei prossimi tre mesi grazie all’Arctic Sunrise capiremo meglio cosa è andato perso a causa di politiche energetiche rapaci e suicide. Una lezione che non deve essere oscurata dalla lobby del petrolio già all’opera per minimizzare le conseguenze del disastro, e che deve arrivare fino al Mediterraneo, poiché le esplorazioni offshore mettono in pericolo anche il Mediterraneo, dal Canale di Sicilia all’Adriatico, fino all’Arcipelago Toscano.

Alessandro Gianni, direttore della campagna di Greenpeace pensa al peggio quando afferma che malgrado la

Bp abbia annunciato di aver chiuso il pozzo, oltre 500.000 tonnellate di petrolio stanno avendo impatti sulla flora e la fauna del Golfo. Se gli effetti sulla pesca sono e saranno gravi, quelli sui delicati ecosistemi del Golfo potrebbero essere peggiori.

[Fonte: Ansa Ambiente&Energia]

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