L’acqua manca, ma di idee ne piovono in abbandonanza a sopperire alla naturale aridità del territorio israeliano, aggravata dalla costante diminuzione delle piogge. Per far fronte al problema, lo Stato ebraico oggi ricicla il 75% delle sue acque reflue e nel 2016 coprirà il 35% del suo fabbisogno grazie alla dissalazione dell’acqua di mare.
Il Paese sta investendo da anni in questo settore. Priorità numero uno: aumentare il volume d’acqua disponibile. Impianti di desalinizzazione, perforazione ancora più in profondità delle falde acquifere, aumento del volume della pioggia. Non c’è tecnologia che non sia stata esplorata e sulle quali non si sia investito per trovare un rimedio alla siccità.
A sessanta chilometri a sud di Tel Aviv, sul mar Mediterraneo, sorge Ashkelon, un gigantesco impianto di dissalazione dell’acqua di mare. Lanciato nel 2006, ha prodotto circa 100 milioni di metri cubi all’anno di acqua potabile
“per un prezzo competitivo di 0,53 centesimi per m³, “dice Erza Barkai, uno degli amministratori di IDE, la società che ha sviluppato la tecnologia alla base dell’impianto.
Se per chi vive in campagna l’orticello non è certo una chimèra, lo stesso non può dirsi per gli abitanti delle metropoli, o almeno non per ora. Gli scienziati, infatti, stanno pensando che in un futuro ormai prossimo bisognerà risolvere il problema dell’alimentazione di una popolazione in costante crescita adottando nuovi tipi di coltivazioni. E coltivando anche nei grattacieli. Skyfarming, le fattorie verticali, così le chiamano. Spiega Dickson Despommier della Columbia University di New York: