Summit di Copenaghen: riassunto del quarto giorno

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striscione protesta copenaghen

Se ci fosse un indice, come quelli di borsa, per valutare l’andamento del summit di Copenaghen, questo vedrebbe un rialzo alla fine del primo giorno, uno stazionamento nel secondo, ed un crollo vertiginoso nel terzo e quarto. L’ultimo in particolare è stato abbastanza doloroso, perché ha aperto uno squarcio in più. Mentre fino a ieri la “battaglia” sulle cifre avveniva soltanto tra Paesi poveri e Paesi ricchi, dalla metà di ieri c’è stata una scissione anche all’interno del gruppo nutrito di poveri. Si potrebbe dire una lotta tra i Paesi poveri e quelli che sono molto più poveri.

Il punto centrale in discussione è che, secondo alcuni Paesi poverissimi, specialmente quelli insulari, i loro rappresentanti che fanno parte di quelle nazioni in via di sviluppo (Cina, India, Brasile e non solo) stanno diventando troppo “morbidi” nei confronti dei ricchi. L’ultima proposta, che però tanto morbida non sembra, è di prolungare il protocollo di Kyoto. Questo prevedeva un taglio del 5% delle emissioni rispetto al 1990 (per i Paesi industrializzati) entro il 2012, portando ad un -40% al 2020. Inoltre la richiesta del G77 è che stavolta tutti, quindi compresi gli Stati Uniti, aderissero al protocollo.

Su questo sembravano concordare i leaders più influenti dei Paesi in via di sviluppo, tanto da creare una specie di gioco di squadra tra di essi. I rappresentanti di Tuvalu, Isole Cook, Fiji, Barbados, ecc., insomma, i presidenti di quei Paesi che, di fronte ad un innalzamento del livello dei mari, potrebbero scomparire, si sono arrabbiati non poco, e hanno deciso di fare da soli. In fretta e furia hanno deciso di proporre una nuova bozza che rivoluziona le aspettative della vigilia.

Mentre tutti pensavano che l’unico punto su cui si poteva essere d’accordo fosse il limite a 2 gradi Celsius di innalzamento delle temperature, questi Paesi chiedono che il limite venga abbassato ad 1,5° C., e di abbassare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a 350 ppm (parti per milione). Oggi le rilevazioni dicono che siamo a 367 ppm, mentre i Paesi ricchi vorrebbero portare il limite a 450 ppm.

La spaccatura sembra insanabile, perché aderire a questi obiettivi significherebbe uno sforzo notevole anche per Cina e India che soffocherebbero la loro crescita, oltre che un danno notevole per i Paesi ricchi. La prima reazione tra questi è arrivata dalla Francia, dove Sarkozy si è opposto alla proposta, paventata ieri, di ritornare al vecchio obiettivo della riduzione del 20% delle emissioni entro il 2020, riportando tale limite al 30%, annunciando anche che, qualsiasi fosse l’accordo raggiunto, l’obiettivo del suo Paese sarà proprio quello. All’ultimo momento, ieri sera, l’Unione Europea ha deliberato che gli aiuti ai Paesi poveri dovranno essere erogati tramite un fondo comunitario che conterrà ogni anno 1,8 miliardi di euro fino al 2012, da rinegoziare dopo tale data. Rimane comunque stabile il totale che i Paesi ricchi dovranno sborsare, che dovrà essere di 10 miliardi l’anno. I restanti 8,2 miliardi dovranno venire da Stati Uniti, Russia e Giappone.

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