La questione ambientale influenza il prezzo del cibo

Sempre più centrale la questione ambientale. Quando compriamo il cibo, lo scontrino non riflette il costo totale. La produzione alimentare, infatti, genera una serie di danni ambientali, sanitari e sociali che non paghiamo direttamente, ma che vengono scaricati sulla collettività. Pensiamo alla perdita di biodiversità dovuta all’allevamento intensivo, all’inquinamento causato dai pesticidi, all’energia spesa per il packaging e ai costi sanitari di una dieta scorretta.

questione ambientale
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Il peso della questione ambientale sul prezzo del cibo

Per quantificare e rendere visibile questo “costo nascosto”, la startup green tech italiana Up2You, su incarico del Gruppo Food, ha condotto uno studio presentato in occasione dell’action tank Food Social Impact 2025. L’analisi ha esaminato sette filiere chiave del mercato italiano ed europeo (latticini, carni, ortofrutta, pasta, bakery, conserve e surgelati), sviluppando l’Indice ISFA (Indice di Impatto Socioambientale delle Filiere Agroalimentari).

Questo indice quantifica gli impatti Ambientali, Sociali e di Governance (ESG) di un prodotto lungo tutta la sua catena produttiva, traducendoli in un unico valore monetario. Lo studio ha valutato 13 “temi materiali” o parametri, utilizzando metriche scientificamente validate, tra cui: emissioni di gas serra, benessere animale, consumo di acqua, biodiversità, pesticidi, fertilizzanti, salute e sicurezza sul lavoro e condotta etica.

Per le filiere zootecniche (carni e latticini), gli impatti monetizzabili includono le emissioni di gas serra (metano e protossido) e la gestione dei reflui. Per ortofrutta e conserve, la variabile critica è il fabbisogno idrico e la localizzazione in aree soggette a stress idrico stagionale. I risultati mostrano un sistematico disallineamento tra il prezzo di mercato e il costo reale sostenuto dalla società: per quasi tutti i prodotti analizzati, l’aumento percentuale del prezzo, una volta aggiunto l’ISFA, supera il 40%.

Un chilo di yogurt ha un aumento del 65% (da €4,00 a €6,61), con driver principali l’impronta di gas serra (GHG), i pesticidi e il benessere animale. Il prosciutto cotto vede un aumento del 27% (da €22,00 a €26,52), spinto da impronta GHG, benessere animale e eutrofizzazione da mangimi. La passata di pomodoro aumenta del 51%, a causa soprattutto degli impatti su biodiversità, consumo di acqua e condizioni lavorative. Il pane bianco aumenta del 52%, con driver principali biodiversità, impronta GHG e salute dei consumatori.

L’analisi evidenzia che i prodotti con filiere più lunghe e complesse, in particolare quelli di origine animale (come yogurt e prosciutto cotto), presentano i true price gap più elevati in termini assoluti. Questo è dovuto alla maggiore complessità della lavorazione e all’impatto significativo del benessere animale e delle emissioni di gas serra (causate dai processi digestivi e dalla produzione di mangimi).

Biodiversità, uso di fertilizzanti ed emissioni di GHG sono identificati come le principali fonti di costo esterno. In sintesi, lo studio dimostra in modo inequivocabile come i costi ambientali e sociali siano attualmente “scaricati” sulla collettività e sul pianeta, rendendo urgente l’integrazione di questi fattori nella contabilità tradizionale.

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