Sempre incerto il futuro dell’Artico: anomalia termica ancora preoccupante

Nonostante gli sforzi globali per ridurre le emissioni di gas serra, il futuro dell’Artico appare segnato da una persistente anomalia termica. Uno studio recente pubblicato su Environmental Research Letters lancia un monito significativo: anche se riuscissimo a riportare la concentrazione di CO2 ai livelli preindustriali, la regione polare manterrebbe temperature di almeno 1,5 °C superiori rispetto al passato per secoli, se non millenni.

futuro dell'Artico
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Cosa sappiamo oggi sul futuro dell’Artico

Questa ricerca conferma un timore crescente tra i climatologi: il riscaldamento dell’Artico è, nel breve e medio periodo, sostanzialmente irreversibile. Per comprendere la resilienza del calore polare, i ricercatori hanno testato undici modelli climatici indipendenti basandosi su tre diverse proiezioni. Su uno scenario teorico: qui un aumento drastico della CO2 (quadruplicata per 140 anni) seguito da una riduzione altrettanto rapida fino al ripristino dei livelli preindustriali.

Ci sono però degli scenari realistici, ossia due ipotesi basate su tagli netti alle emissioni, rispettivamente immediati o a partire dal 2070. Qui i risultati sono stati sorprendentemente omogenei. Nonostante la riduzione dei gas serra, la temperatura artica si stabilizzerebbe comunque attorno a +1,5 °C rispetto all’era preindustriale (un calo significativo rispetto agli attuali +3,3 °C, ma lontano da un ritorno alla normalità).

Inoltre, si prevede che entro il 2100 le precipitazioni giornaliere aumentino di circa 0,1 millimetri. La causa principale di questa “memoria termica” è l’inerzia degli oceani. Le masse d’acqua globali assorbono circa il 90% del calore in eccesso generato dall’effetto serra. Questo calore accumulato non svanisce con la pulizia dell’atmosfera, ma viene rilasciato lentamente verso la superficie, mantenendo l’Artico caldo per periodi di tempo lunghissimi.

Questa situazione quindi evidenzia come sia complicato riuscire a ritornare ai livelli normali. Esiste tuttavia un’eccezione localizzata. I modelli indicano che una fascia dell’Atlantico settentrionale, situata a sud di Groenlandia e Islanda, potrebbe paradossalmente raffreddarsi. Questo fenomeno è legato all’indebolimento della AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), il sistema di correnti che trasporta calore dai tropici verso nord.

Se questa “pompa” rallenta, l’afflusso di acque calde diminuisce, rendendo quella specifica area più fredda e secca. In conclusione, sebbene il riscaldamento artico sembri destinato a durare per generazioni, lo studio specifica che non si tratta di un destino eterno. Su scale temporali geologiche, quindi nell’ordine di millenni, la regione potrebbe infine ritrovare il suo equilibrio originario.

Tuttavia, per la civiltà umana attuale, la sfida rimane quella di gestire un ambiente polare drasticamente e permanentemente trasformato. In questo caso bisogna semplicemente evitare il peggio, quindi continuare ad usare misure che siano in grado di tamponare il riscaldamento globale e tutto ciò che ne consegue.

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