Stoccaggio del carbonio nelle zone umide, una soluzione ai cambiamenti climatici

di Redazione 4

Mentre l’incremento nella distruzione delle zone umide potrebbe scatenare un vero e proprio disastro ecologico, gli scienziati hanno scoperto che il ripristino di questi vulnerabili ecosistemi potrebbe rappresentare una soluzione valida ai cambiamenti climatici in corso attraverso la creazione di una rete mondiale di potenti pozzi di assorbimento del carbonio.

Si tratta di un progetto di ricerca alquanto ambizioso, lanciato dall’Us Geological Survey, i cui costi di realizzazione si aggirano intorno ai 12,3 milioni dollari. L’idea alla base di questo piano è quella di catturare e immagazzinare il carbonio nelle zone umide, come ad esempio paludi, acquitrini, torbiere, estuari. Il programma di attuazione è stato ufficialmente lanciato quest’estate (anche se gli scienziati ci lavoravano già da tempo) e, secondo le stime degli esperti, ha già fatto registrare i primi significativi risultati.

Infatti, secondo quanto affermato da Janet Pelley, dell’Environmental Science & Technology:

Il progetto dell’US Geological Survey ha già catturato enormi quantitativi di ossido di carbonio, una media di 3.000 grammi di carbonio per metro quadrato ogni anno, una percentuale addirittura maggiore di quella che si ottiene rimboschendo le zone sottoposte a deforestazione.

Le paludi forniscono un maggiore potenziale di raffreddamento, soprattutto quelle di acqua salata. Le zone umide risultano particolarmente adatte ad immagazzinare il biossido di carbonio perchè sono perennemente coperte da acqua, il chè impedisce all’ossigeno di penetrare nel terreno fangoso. In questo modo si mantiene inalterata la decomposizione batterica, un processo che limita il rilascio di CO2 al minimo.
La prima zona umida ad essere interessata dalla sperimentazione del progetto è stata il delta del fiume Sacramento-San Joaquin in California. Ora si valuta la possibilità di estendere ad altre paludi e acquitrini il compito di divenire pozzi di assorbimento di carbonio. Malgrado l’entusiasmo scatenato dai primi positivi risultati rimane tuttavia irrisolto il problema delle emissioni di gas metano legato al processo. Se la mancanza di ossigeno favorisce da un lato lo stoccaggio del carbonio, dall’altro lato, infatti,  provocherebbe il rilascio di metano.

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