Soros propone un meccanismo economico infallibile per garantire i fondi ai Paesi poveri

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Il miliardario George Soros ha proposto un modo per liberare fondi per aiutare i Paesi in sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Egli propone che i Paesi sviluppati prestino il denaro ricevuto in diritti speciali di prelievo (DSP), dal Fondo monetario internazionale (FMI) nel mese di settembre, da far restituire al Fondo di modo che possa essere distribuito per i progetti nei Paesi poveri.

Il mondo sviluppato ha ricevuto più di 150 miliardi dollari, ma in realtà non hanno alcun modo per utilizzarli tutti

ha spiegato Soros alla CNN. Il magnate ha affermato che il premio potrebbe essere distribuito attraverso il Fondo monetario internazionale, tramite un “Fondo Verde“, che investirebbe in progetti volti a ridurre le emissioni di carbonio.

Accordo di Copenaghen: un flop ratificato da tutti ma che non serve a nessuno

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Ufficialmente il summit di Copenaghen si è chiuso la sera del 18 dicembre. In realtà si è andati avanti ben oltre tale limite, fino alle 15:28 del giorno dopo. Il motivo di tale ritardo? Cercar di convincere i Paesi poveri a firmare questo accordo. Un accordo che non è un trattato e non è vincolante, tanto da far insorgere gran parte delle nazioni che lo ritenevano inutile (nella migliore delle ipotesi), fino a dannoso, o addirittura un “Olocausto che incenerisce l’Africa“, come l’ha definito il rappresentante del Sudan.

Ma alla fine la bozza di accordo che è stata stipulata da Cina e Stati Uniti, e fatta firmare anche da India e Sudafrica, ha posto fine a tutte le opposizioni. Gli unici a non voler firmare erano Tuvalu, la nazione che prima di tutte sta già pagando per il riscaldamento globale, Venezuela, Cuba, Bolivia, Nicaragua e Costarica. Ma in extremis, nella giornata di ieri, si sono viste costrette a firmare anche loro, in quanto trattandosi di una risoluzione Onu, dev’essere presa all’unanimità per poter essere approvata, e se non l’avessero fatto, avrebbero fatto saltare anche quel poco di buono che è stato deciso.

Summit di Copenaghen: riassunto del nono giorno

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Sentimenti contrastanti si incrociano nella capitale danese in questi giorni. Dagli Stati Uniti Barack Obama si dice ottimista ed il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, è aperta a qualsiasi colloquio per non far fallire il congresso. Chi invece è arrivato a Copenaghen non si esprime negli stessi termini. Il Primo Ministro britannico, Gordon Brown, ha detto di essere quasi sicuro che i negoziati falliranno. Sarà difficile infatti trovare un compromesso nell’arco di 3 giorni che faccia avvicinare due parti così distanti come i Paesi ricchi e quelli poveri. A lui fa eco il presidente Australiano Kevin Rudd, tanto che, vista la cattiva aria che tirava, Al Gore ha tentato di salvare il salvabile, e ha chiesto un nuovo incontro nel prossimo luglio per sviluppare i punti ancora lasciati irrisolti in questo vertice. Angela Merkel invece si è detta “nervosa” in quanto spera di riuscire a trovare un accordo entro venerdì, ma lo vede molto difficile.

E mentre anche il Papa lancia un appello da Roma affinché si trovi un accordo che non distrugga la Terra, nella giornata di ieri si è parlato principalmente di questo, e cioè della salvezza delle foreste mondiali. Incalzato dal portabandiera della lotta alla deforestazione, il Principe Carlo d’Inghilterra, il dibattito si è concentrato non tanto sulle sanzioni per chi distrugge le foreste, quanto sui premi da assegnare a chi le foreste le protegge.

Infatti adesso siamo di fronte ad un paradosso per cui conviene di più abbattere le foreste e poi ripiantarle, che non lasciarle intatte. Oggi infatti si ottengono diversi vantaggi, prima di tutto sul famoso commercio dei crediti ad inquinare, ma anche economici, e perfino simbolici, visto che ci sono alcuni Paesi che sono stati premiati per aver ripiantato gli alberi tagliati, mentre altri che li hanno lasciati intatti non sono stati nemmeno presi in considerazione. E così è stato discusso un metodo per proteggere il mondo dalla deforestazione preventiva, e cioè va bene ripiantare gli alberi tagliati, ma è meglio non tagliarli affatto.

Climate REDI: il nuovo programma ambientalista di Obama per i Paesi poveri

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Può sembrare una iniziativa relativamente piccola rispetto agli investimenti precedenti dell’amministrazione Obama nei programmi di energia rinnovabile e nello sviluppo, ma la creazione di un programma chiamato “Climate REDI” è un’altra tappa importante nella crescita del neonato mondo dell’economia dell’energia pulita. Sulle fonti rinnovabili e l’efficienza di distribuzione lancia l’iniziativa oggi il ministro dell’Energia Stephen Chu: un totale di 350 milioni di dollari di fondi sarà destinato ad accelerare lo sviluppo delle tecnologie pulito e nella distribuzione in tutto il mondo.

In base ai progressi climatici, gli Stati Uniti contribuiranno con 85 milioni dollari per un piatto a livello mondiale di 350 milioni (tra gli altri Paesi aderenti c’è anche l’Italia) per contribuire ad accelerare la crescita e la diffusione di tecnologie pulite e progetti rinnovabili. Il finanziamento sarà orientato su 4 programmi principali che vedremo dopo il salto.

Summit di Copenaghen: riassunto dell’ottavo giorno

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L’ottavo giorno ha rischiato di essere l’ultimo del summit di Copenaghen. La giornata di ieri è stata la peggiore dal punto di vista dei negoziati, in quanto lo scontro tra Paesi poveri e Paesi ricchi si è inasprito talmente tanto da far minacciare il boicottaggio da parte dei primi. I rappresentanti del G77, i 131 Paesi considerati “in via di sviluppo”, aveva denunciato lo scarso impegno da parte dei Paesi più industrializzati.

In particolare li accusavano di fornire pochi soldi nel fondo comunitario, di rallentare i lavori e non dargli il giusto peso politico, ma soprattutto contestavano ai Paesi ricchi una volontà di tagliare le emissioni di gas serra  troppo scarsa rispetto alle richieste. I Paesi poveri chiedono una riduzione che vada dal 25 al 40% entro il 2020, quelli ricchi parlano di un 17-20% di media, a parte l’Unione Europea che alza tale soglia fino al 30%. L’altro punto contestato riguarda il protocollo di Kyoto. I Paesi del G20 non volevano nemmeno prenderlo in considerazione, gli altri invece hanno chiesto che fosse una base di partenza da rispettare fino ad un prossimo accordo, in quanto li tutelava in caso di mancato rispetto.

E così è scoppiato lo scontro. Il rappresentante del G77 ha dichiarato che, se le cose non fossero migliorate, i Paesi poveri erano disposti a fare le valigie e lasciare la capitale danese. Per fortuna in serata è tornata la calma. L’Europa ha mediato e ha riaperto il dialogo, facendo tornare sui loro passi i dissidenti.

Summit di Copenaghen: riassunto del settimo giorno

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Nonostante ieri fosse domenica, il vertice di Copenaghen non si è fermato, ma ha soltanto rallentato i lavori per prepararsi meglio alla settimana cruciale, quella che comincia oggi e si concluderà venerdì prossimo con la firma dell’accordo (si spera) dei vari Capi di Stato.

Così ieri hanno trovato più spazio gli scienziati. La conferenza si è aperta con la relazione della commissione sulla biodiversità delle Nazioni Unite, che ha parlato del ruolo degli oceani nel recupero della Co2. Secondo la commissione UNEP, gli oceani sono, in condizioni normali, in grado di assorbire un quarto della Co2 prodotta dall’uomo attraverso la deforestazione, combustione, ecc. Negli ultimi anni però il livello della loro acidità è salito molto rapidamente, al tasso più veloce di sempre (si calcola che l’acidità sia aumentata di 100 volte negli ultimi 20 milioni di anni), portando così ad una duplice conseguenza: il pericolo per la biodiversità, con un calcolo al 2100 che prevede come il 70% della barriera corallina sparirà a causa dell’acidificazione; ma portando anche ad una conseguente diminuzione della Co2 assorbita. In quel caso, se non si mette un freno alle emissioni, si rischia di vedere un incremento improvviso della concentrazione di gas serra.

Summit di Copenaghen: riassunto del sesto giorno

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Come si temeva, la notizia di oggi è il gran numero di arresti dovuto alla confusione dei no global, e specialmente dei black bloc, che mescolati tra la folla pacifica, hanno approfittato per distruggere tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Tra auto incendiate e vetrine rotte, il bilancio finale è di due feriti (uno tra i poliziotti) e oltre 900 arresti, anche se poi in nottata sono stati quasi tutti liberati. Ma nonostante i media di tutto il mondo si siano soffermati solo su quest’aspetto, la sesta giornata del summit di Copenaghen non è stata solo questo.

Dal punto di vista scientifico, c’è stato un intervento molto importante di Rank Raes, capo dell’Unità cambiamenti climatici del Centro di ricerca della Commissione europea, il quale ha ammesso che va bene fissare un limite a 2 gradi per l’innalzamento delle temperature, ma vista la lentezza della politica, sembra proprio che questo sia più che ottimistico:

Sarebbe bello, ci metterei dieci firme, non una. Peccato sia irrealistico: i 2 gradi sono un traguardo che non è più alla nostra portata. Dirlo è un atto di onestà. Così come è un atto di onestà aggiungere che se non ci muoviamo subito, se non chiudiamo nel giro di pochissimi anni il rubinetto dei gas serra, non riusciremo neppure a fermarci a 3 gradi.

Summit di Copenaghen: riassunto del quinto giorno

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Il summit di Copenaghen comincia a decollare. Grazie alla collaborazione del Parlamento di Bruxelles che ha fornito un grosso aiuto al vertice, si può dire che il congresso è finalmente incanalato verso la strada giusta dell’accordo. Anche se ancora bisognerà lavorarci su.

La mano è venuta prima di tutto sull’accordo sul taglio delle emissioni. Il Parlamento Europeo ha per ora bocciato l’ipotesi del “ritorno al vecchio”, e cioè il taglio del 20% entro il 2020, e ha lasciato come unico obiettivo il 30%, come voluto dalla Francia. E’ ancora poco per i Paesi poveri che chiedono almeno il 40%, ma vista la situazione attuale crediamo sia sufficiente. Il secondo spunto arriva dal lato economico: i Paesi europei hanno deciso volontariamente quanto stanziare per il fondo comune da destinare ai Paesi in via di sviluppo. Ieri la Francia chiedeva di raccogliere almeno 1,8 miliardi di euro all’anno fino al 2012. La Svezia 2 miliardi. Alla fine la generosità dei Paesi europei è arrivata a contare ben 2,4 miliardi di euro, meglio del previsto.

Congresso di Copenaghen: pronta la bozza per l’Europa

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L’Europa, attraverso il Governo danese che ospiterà il prossimo congresso che deciderà le sorti del clima mondiale, ha proposto una prima bozza da presentare durante il meeting che inizierà il 7 dicembre prossimo. Il nuovo obiettivo parla del taglio del 50% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. Un obiettivo positivo, ma di cui non c’è tantissimo da andar fieri.

Per fortuna l’Europa aggiusta un po’ il tiro, migliorando la richiesta con i restanti punti presentati oggi, i quali parlano dell’80% del taglio delle emissioni che dovrà provenire dai Paesi industrializzati ed uno stanziamento di un fondo di almeno 30 miliardi di euro da erogare ai Paesi poveri entro il 2020, mentre fino al 2050 i miliardi per l’adeguamento dovranno essere 100.