Summit di Copenaghen: riassunto del nono giorno

di Redazione Commenta

ban_ki_moon-cop15

Sentimenti contrastanti si incrociano nella capitale danese in questi giorni. Dagli Stati Uniti Barack Obama si dice ottimista ed il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, è aperta a qualsiasi colloquio per non far fallire il congresso. Chi invece è arrivato a Copenaghen non si esprime negli stessi termini. Il Primo Ministro britannico, Gordon Brown, ha detto di essere quasi sicuro che i negoziati falliranno. Sarà difficile infatti trovare un compromesso nell’arco di 3 giorni che faccia avvicinare due parti così distanti come i Paesi ricchi e quelli poveri. A lui fa eco il presidente Australiano Kevin Rudd, tanto che, vista la cattiva aria che tirava, Al Gore ha tentato di salvare il salvabile, e ha chiesto un nuovo incontro nel prossimo luglio per sviluppare i punti ancora lasciati irrisolti in questo vertice. Angela Merkel invece si è detta “nervosa” in quanto spera di riuscire a trovare un accordo entro venerdì, ma lo vede molto difficile.

E mentre anche il Papa lancia un appello da Roma affinché si trovi un accordo che non distrugga la Terra, nella giornata di ieri si è parlato principalmente di questo, e cioè della salvezza delle foreste mondiali. Incalzato dal portabandiera della lotta alla deforestazione, il Principe Carlo d’Inghilterra, il dibattito si è concentrato non tanto sulle sanzioni per chi distrugge le foreste, quanto sui premi da assegnare a chi le foreste le protegge.

Infatti adesso siamo di fronte ad un paradosso per cui conviene di più abbattere le foreste e poi ripiantarle, che non lasciarle intatte. Oggi infatti si ottengono diversi vantaggi, prima di tutto sul famoso commercio dei crediti ad inquinare, ma anche economici, e perfino simbolici, visto che ci sono alcuni Paesi che sono stati premiati per aver ripiantato gli alberi tagliati, mentre altri che li hanno lasciati intatti non sono stati nemmeno presi in considerazione. E così è stato discusso un metodo per proteggere il mondo dalla deforestazione preventiva, e cioè va bene ripiantare gli alberi tagliati, ma è meglio non tagliarli affatto.

A questo appello hanno risposto immediatamente il presidente francese Sarkozy e quello indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono, i quali hanno trovato l’accordo per tutelare la foresta tropicale del Paese asiatico, la quale comprende il 10% delle foreste di tutto il mondo. Il modo principale con cui si è deciso di combattere la deforestazione è combattere il taglio illegale degli alberi, quello effettuato senza controllo da dei veri e propri “predoni del legno”, che arrivano in sordina, tagliano gli alberi e scappano via. Dev’essere rafforzato questo controllo altrimenti gli sforzi politico-economici per evitare la deforestazione serviranno a ben poco.

Nella giornata di ieri si è parlato anche di trasporti, ed in special modo del menu a chilometro zero. Ad oggi, spiega Riccardo Valentini, ordinario di ecologia all’Università della Tuscia su Repubblica, il 98% del cibo che finisce sulle nostre tavole è stato trasportato per più di 50 km. Bisognerebbe puntare sull’agricoltura biologica, a cominciare dai menu delle mense, le quali dovrebbero proporre cibi a chilometro zero, cioè quei prodotti biologici locali che non hanno bisogno di percorrere decine o centinaia di chilometri per finire in un piatto. In questo modo si abbatterebbe l’inquinamento (si parla di un risparmio complessivo di 15 milioni di tonnellate di Co2 all’anno), e si incentiverebbe anche l’agricoltura locale che fa bene sia all’economia che all’ambiente.

Ed infine ha tenuto banco, come al solito, la diatriba per aiutare i Paesi a basso reddito. Il primo passo in avanti ieri lo ha effettuato il Giappone, il quale ha promesso di contribuire per il famoso Fondo con 10 miliardi di dollari per 3 anni, quanto ha proposto l’Europa. Questi soldi, ha annunciato il Ministro dell’Ambiente giapponese, vorrebbe fossero destinati alla tutela e al ripristino della biodiversità prima che per altri scopi. Un passo in avanti più grande invece l’ha effettuato la Cina. Il grande Stato asiatico ha annunciato che i soldi del Fondo dovranno andare principalmente ai Paesi più piccoli e più poveri, ed in special modo alle nazioni insulari. Questo non significa rinunciare definitivamente al finanziamento, ha tenuto a ribadire il portavoce cinese, ma significa soltanto che la Cina ha i mezzi propri per combattere il riscaldamento globale, e se riuscirà a far fronte a tale battaglia con le proprie forze, non toccherà il Fondo che andrà soltanto ai Paesi che ne hanno veramente bisogno.

Intanto la Corea del Sud ha annunciato il proprio taglio delle emissioni, il quale sarà del 4% entro il 2020 rispetto al 2005. Può sembrar poco, ma bisogna tener conto che la Corea del Sud non era tra le nazioni “obbligate” al taglio delle emissioni; che il suo inquinamento è quasi insignificante e quindi prima del 2005 non era molto più elevato rispetto al nostro nel 1990, e che nei prossimi colloqui in previsione in Messico e Sudafrica, sono disposti anche a ritoccare al rialzo questi obiettivi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.