Summit di Copenaghen: riassunto del decimo giorno

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Più ci avviciniamo alla fine e più difficile sembra che si trovi un accordo vincolante per ridurre le emissioni e risolvere gli altri problemi ambientali. Mentre il presidente della Commissione Europea sul clima Josè Barroso ha spiegato che di solito questi accordi si trovano all’ultimo minuto, e dunque non bisogna disperare finché il vertice non è concluso, a porre un grosso ostacolo ai negoziati ci si mette oggi la Cina.

Il colosso asiatico, che nei giorni scorsi aveva fatto da mediatore tra Paesi poveri e ricchi, ha reso noto di avere ben poche speranze che si possa trovare un accordo, e così l’unico risultato utile che si può ottenere al momento è

una breve dichiarazione politica di qualche tipo.

Di certo non quello che gli attivisti e gli scienziati si aspettavano alla vigilia. Una “dichiarazione politica” si potrebbe tradurre in una semplice promessa, ciò che i politici sono molto bravi a fare, di ridurre “un giorno” le emissioni. Questo significherebbe doversi aggiornare tra un anno al prossimo COP16 nel tentativo di trovare una soluzione condivisa, dopo aver cercato la soluzione in patria, ma questa pare essere davvero un’àncora di salvezza per un vertice che sta letteralmente affondando.

Per tentare di non farlo annegare del tutto, oggi sono in arrivo il Premier cinese Wen Jiabao, il quale ha dichiarato di dare molta importanza al summit e di non volerlo far fallire, ma soprattutto Barack Obama. Il presidente americano è stato preceduto da Todd Stern, capo della delegazione americana che è stato presente in questi giorni a Copenaghen. Stern ha risposto a quei Paesi che gli chiedevano un intervento serio sul problema, e non quei tagli minimi che gli Stati Uniti si erano proposti di attuare, spiegando di non poter “promettere ciò che non possono mantenere”. Praticamente una porta chiusa in faccia ai negoziatori.

Fino a questo momento inoltre gli Stati Uniti non hanno detto ufficialmente quanto sono disposti a spendere per il Fondo da destinare ai Paesi poveri, ma solo quello che sono disposti a fare per sè stessi, e cioè un fondo da 80 miliardi di dollari per tagliare le emissioni tramite investimenti nelle energie rinnovabili, nucleare, carburanti più efficienti e tecnologie per il recupero della Co2.

L’unico punto su cui sembrano tutti concordare è tentare di salvare le foreste tropicali dalla deforestazione. E così, dopo lo stanziamento di ieri di Francia e Norvegia, oggi si sono aggiunti al fondo per salvare le foreste anche Gran Bretagna, Australia e Giappone, per un fondo che è arrivato a toccare i 3,5 miliardi di dollari.

In chiusura di giornata Yvo De Boer, responsabile dei cambiamenti climatici dell’Onu, ha affermato che nella giornata di mercoledì la macchina del negoziato ha subìto uno “stop inaspettato”. Ma adesso che arriveranno 119 capi di Stato e di Governo, questa macchina potrà riprendere il suo cammino più calmo e rilassato, e raggiungere la vetta della montagna con molta più semplicità. Noi glielo auguriamo.

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