Un altro grande fiume rischia di sparire: il Colorado

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C’è una chance su due che l’acqua dei serbatoi del Colorado River sarà completamente prosciugata entro il 2050 se le pratiche di gestione delle risorse idriche rimarranno invariate in un mondo in cui la temperatura si sta sempre più elevando. Circa 30 milioni di persone (soprattutto in Arizona e California del Sud) dipendono dal fiume Colorado per bere ed irrigare i campi.

Il sistema del fiume Colorado “festeggia” in questi giorni il decimo anno di siccità, con la riserva idrica che attualmente è al 59%. Studi precedenti hanno messo in guardia verso la potenziale scarsità d’acqua risultante dai cambiamenti climatici. La crescita della popolazione della regione continua ad esercitare pressioni sulle risorse idriche del deserto occidentale, aggravando ulteriormente la situazione.

Gli elefanti marini si spostano a causa dei cambiamenti climatici

elefanti-marini-cambiamenti-climaticiGli elefanti marini si spostano sulla scia dei repentini cambiamenti climatici in corso, modificando velocemente abitudini e luoghi di riproduzione proprio sulla base degli attuali stravolgimenti ambientali.
Una recente ricerca ha individuato uno spostamento di decine di chilometri delle colonie di elefanti marini, riconducibile alle esigenze di adeguarsi al ritiro dei ghiacciai.

Un team internazionale di ricerca, tra cui il Dott. Marco de Bruyn e studiosi provenienti da Stati Uniti, Sud Africa e Italia, guidato dal professor Rus Hoelzel dell’Università di Durham, ha scoperto che quando il ghiaccio antartico del Mare di Ross si ritirò nel periodo Olocene 8.000 anni fa, gli elefanti marini (Mirounga Leonina), adottarono un nuovo habitat stabilendo una nuova colonia che prosperò abbastanza velocemente.

Riscaldamento globale: le specie più a rischio sono gli insetti, la base della catena alimentare

insetto-a-rischio-estinzioneGiorni fa parlavamo di una razza di pecora che si stava evolvendo a causa dei cambiamenti climatici. Ma non dobbiamo dimenticarci che ci sono migliaia di specie che per colpa di questi mutamenti rischiano di sparire. Se fosse per Jessica Hellmann, biologa presso l’Università di Notre Dame, gli insetti come farfalle e coleotteri che esercitano la stessa forza di conservazione animale, potrebbero diventare le icone tradizionali dell’estinzione dei giorni nostri, come accade ad esempio con gli orsi polari.

Gli insetti infatti sono alla base degli ecosistemi, ed anzi, forse hanno un ruolo ancora più importante di quello degli orsi polari. Quasi l’80% delle piante di tutto il mondo necessitano dell’impollinazione, e il valore annuale del lavoro degli insetti nelle colture nei soli Stati Uniti è stato calcolato in circa 20 miliardi di dollari. Peccato però che essi siano particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici, in quanto non possono regolare la temperatura del loro corpo.

Le ricerche condotte da Hellmann e Shannon Pelini, una sua dottoranda, indicano che il riscaldamento globale può influenzare tutte le varie fasi della vita di un insetto, ma può anche colpirlo in modi diversi. Possono ad esempio veder modificato il loro habitat in modo che non sia più abitabile.

Una pecora si evolve a causa dei cambiamenti climatici

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Alcune pecore che vivono su una remota isola al largo della costa della Scozia stanno diminuendo da circa 20 anni. Sembra che gli inverni più brevi causati dai cambiamenti climatici siano i responsabili di questa estinzione.

Le pecore di Soay sono una razza primitiva di ovini domestici, che vivono sull’isola di pecore di Hirta, nell’arcipelago di St. Kilda, senza interferenze umane. Dal 1955 in poi, la popolazione è stata attentamente studiata. Negli ultimi 20 anni, la popolazione media delle pecore è diventata sempre più piccola, ma è stato chiaro che il motivo alla base di questo cambiamento è stata la selezione naturale che tende a guidare lo sviluppo di organismi più grandi.

Per studiare gli effetti dei cambiamenti ambientali e della selezione naturale, Timothy Coulson dell’Imperial College di Londra e colleghi hanno modificato il cosiddetto “Prezzo d’equazione”, che è utilizzato per descrivere come avvengono le modifiche della selezione naturale di una popolazione da una generazione a quella successiva.

CO2 e siccità mettono a rischio le coltivazioni

coltivazioni-siccita-co2La sicurezza degli approvvigionamenti alimentari mondiali è duramente messa alla prova dai cambiamenti climatici in atto. Le vecchie piante non sono infatti abituate a temperature così torride e la mancanza di acqua, con l’avanzare della desertificazione, non fa che rendere ancora più arida la terra coltivabile. Motivo per il quale gli scienziati si stanno adoperando al fine di trovare piante più resistenti al riscaldamento terrestre e meno sensibili all’alta quantità di CO2 immessa nell’atmosfera dalle attività umane e non.

Un nuovo clima esige nuove colture. Continuare ad ignorare il problema potrebbe risultare pericolosamente deleterio, dal momento che gli studiosi hanno scoperto che le piante cresciute in ambienti aridi e/o inquinati, con alti tassi di CO2, avrebbero meno principi nutritivi rispetto alle altre e valori elevati di sostanze tossiche per l’organismo. Un recente studio, effettuato da un team di ricercatori della Monash University di Victoria (Australia), ha infatti individuato un incremento di composti tossici e una diminuzione del contenuto proteico nelle piante coltivate in territori con alto tasso di inquinamento.

Il riscaldamento globale comincia già a colpire l’America

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Estreme condizioni meteorologiche, siccità, forti piogge e alte temperature sono sempre più comuni in molte parti degli Stati Uniti. Secondo i ricercatori, questo è dovuto all’attività umana che porta ai cambiamenti climatici. Questi ed altri cambiamenti continueranno probabilmente ad aumentare di intensità in futuro. Per la regione sud-ovest degli Stati Uniti, che comprende la California, il rapporto prevede un clima più caldo e più secco con effetti significativi sull’ambiente, l’agricoltura e la salute.

I ricercatori in rappresentanza di 13 agenzie degli Stati Uniti, le grandi università e gli istituti di ricerca hanno prodotto un grande rapporto intitolato “Global Climate Change Impacts in the United States”. Esso parla di effetti come le variazioni dei modelli di precipitazioni, siccità, incendi, uragani atlantici, e gli effetti sulla produzione di cibo, gli stock ittici e sugli animali selvatici, l’energia, agricoltura, approvvigionamento idrico, e comunità costiere.

La relazione dipinge uno minacciosa immagine dei potenziali impatti, a cui però c’è ancora tempo per trovare rimedio. Questo può essere fatto attraverso un equilibrato mix di attività volte a ridurre le emissioni di gas-serra e di adattamento.

Eco-profughi, il nuovo problema mondiale è alle porte dell’Europa

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Fino a qualche anno fa i profughi e i rifugiati nei Paesi industrializzati scappavano tutti dalle guerre. In questi ultimi due anni ad essi si vanno aggiungendo i cosiddetti profughi ambientali, o eco-profughi, in pratica persone che scappano dalla loro terra perché, a causa dei cambiamenti climatici è diventata invivibile.

Secondo uno studio di Legambiente, presentato in questi giorni durante la manifestazione Terra Futura, sono 18 milioni le persone che ogni anno vengono colpite da eventi che all’apparenza sono naturali, ma che in realtà sono provocati dall’uomo. Siccità, la quale porta i terreni costieri o con poca vegetazione alla completa desertificazione; aumento degli uragani e delle piene dei fiumi, che straripano praticamente ogni anno, inondando intere città e villaggi e uccidendo centinaia di persone o rendendo impossibile la vita in quelle zone.

Uccelli: la lista rossa si allunga, il cambiamento climatico colpisce ancora

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Si aggiungono nuove specie di volatili alla Lista Rossa dell’IUCN, l’International Union for Conservation of Nature. L’ultima stima effettuata sulla popolazione di uccelli di tutto il mondo ha infatti rivelato un aumento degli esemplari che rischiano l’estinzione. Nel libro nero ci sono circa 1.227 specie appartenenti al “regno dei cieli”. La minaccia per loro è  ancora una volta determinata dai cambiamenti climatici in corso o dagli stravolgimenti territoriali operati dall’uomo, che devastano interi ecosistemi, minacciando la sopravvivenza di molte specie viventi.

BirdLife International, che ha condotto la ricerca per conto dell’IUCN, ha potuto verificare che il 12% delle specie dei volatili sarebbe a rischio. La buona notizia è che queste specie potranno ancora essere salvate, non appena si darà il via ad una serie di azioni volte a proteggerne e a garantirne la sopravvivenza.
La Lista Rossa IUCN ora elenca nella fascia più alta di rischio 192 specie di uccelli, due in più rispetto all’aggiornamento più recente che risale allo scorso anno.

Il riscaldamento globale sta uccidendo gli alberi

Riscaldamento globale, ancora lui, il primo indiziato in quella che è una vera e propria scia di morte e distruzione della flora e della fauna terrestre. Recenti studi hanno infatti indicato che gli alberi stanno subendo un vero e proprio massacro a causa degli stravolgimenti climatici in corso e dell’aumento sconsiderato e progressivo delle temperature.

Le foreste stanno morendo, con tutto quello che ne consegue per l’uomo e per il mantenimento degli equilibri negli eco-sistemi terrestri. A quanto pare anche un aumento di soli quattro gradi della temperatura vede moltiplicarsi di ben cinque volte il rischio di morte degli alberi in condizioni di siccità.

Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il Clima, ci sono anche Roma e Milano

Comuni, Province e Regioni saranno a Roma domani in occasione della consegna ufficiale al Governo della Carta delle Città e dei Territori d’Italia per il Clima. Si tratta di una Carta concepita da Agenda 21 insieme ad Anci (l’Associazione Nazionale Comuni Italiani) e Upi (Unione delle Province Italiane).

Le grandi città, insomma, partecipato a questo progetto, che vede Comuni, Province e Regioni impegnarsi attivamente nel raggiungimento di quanto previsto con il pacchetto 20+20+20 dell’Unione Europea e nel novero di quanto si sta realizzando dopo Kyoto.

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Niente più ghiacciai tra 90 anni

Lo scenario di film apocalittici sui cambiamenti climatici potrà sembrare una barzelletta rispetto alla realtà. A lanciare l’allarme è un gruppo di scienziati californiani, i quali osservando i dati di scioglimento dei ghiacciai degli ultimi 30 anni, e confrontandoli con i modelli matematici di previsione climatica, hanno sentenziato che, di questo passo, nel 2100 sulla Terra sarà scomparso il ghiaccio.

La ricerca, pubblicata su Nature Geoscience, è stata effettuata dal gruppo guidato da Julien Boé dell’Università della California di Los Angeles. Le osservazioni partivano dai dati del 1979, e riguardavano il cosiddetto “stato di salute” dei ghiacciai del bacino del Nord, e venivano confrontate con le ultime complete sulla stessa zona del mondo, quelle del 2006. Ebbene, in soli 27 anni l’area ricoperta dai ghiacciai è diminuita di 100 mila chilometri quadrati, pari al 25% dell’intera estensione, praticamente è scomparso un quarto dei ghiacci esistenti.

Effetto clima e biodiversità, a rischio dieci grandi specie dagli orsi alle tigri… all’uomo

Allarme del Wwf, l’ennesimo appello contro la minaccia alla biodiversità messa in atto dall’uomo e dalle attività umane: sono a rischio le grandi specie. Non parliamo di animali pseudosconosciuti, specie rare, che si trovano solo in pochi zoo del mondo. Qui si sta rischiando di perdere il patrimonio delle specie conosciute da tutti, quelle che popolano i libri di infanzia per bambini, quelle che alla voce animali nel popolare gioco “nomi, cose, città” ci vengono per prime in mente.

Si tratta di pinguini, orsi polari, tigri, elefanti africani, tartarughe marine, balene, delfini, albatross, canguri, oranghi, barriere coralline. Non possiamo certo dire di non conoscerli o di non averne mai sentito parlare. Abbiamo tutti avuto almeno un pupazzetto a forma di orsacchiotto, o un poster con le acrobazie di un delfino, abbiamo visto almeno una volta nella vita al circo o allo zoo un elefante, o una tigre. Ebbene, tra qualche anno, potremmo solo ricordarceli questi animali, magari vederli soltanto imbalsamati al museo di storia naturale, come ora guardiamo gli scheletri dei dinosauri.

Consumi amici del clima, un percorso in sei tappe per spiegare i cambiamenti climatici

Consumi amici del clima, ovvero come spiegare i cambiamenti climatici, alternando modelli matematici a dati reali, agli studenti delle scuole superiori. Questa l’ambiziosa ed ammirevole mission che si è riproposta il Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano in collaborazione con il  Programma Educazione del WWF Italia, ed il sostegno economico della Fondazione Cariplo.

Il percorso didattico, in sei tappe, verrà proposto, in via sperimentale, agli studenti di dieci scuole superiori della Lombardia. Il viaggio virtuale all’interno dell’impatto dell’uomo sulla Terra, alla ricerca di possibili soluzioni concretamente attuabili e attualizzabili, è disponibile on-line all’indirizzo www.consumieclima.org.

Cambiamenti climatici, l’oceano assorbe sempre meno biossido di carbonio prodotto dall’uomo

Nell’Oceano Indiano meridionale, il cambiamento climatico sta portando a forti venti, che mescolando le acque, fanno sì che la CO2 che si trova immagazzinata nella profondità dell’oceano risalga in superficie. Questa è la conclusione di un gruppo di ricercatori coordinato da Nicolas Metzl che hanno studiato le ultime misurazioni effettuate dal CNRS’s INSU, dall’IPEV e dall’IPSL. Di conseguenza, l’Oceano meridionale non può più assorbire la stessa quantità di CO2 atmosferica di prima. Il suo ruolo di deposito di carbonio è stato indebolito, e si stima che in questo importante compito l’Oceano Indiano sia ora dieci volte meno efficiente di quanto stimato in precedenza. La stessa tendenza si può osservare anche ad alte latitudini nel Nord Atlantico.

L’aumento della quantità di CO2 nell’atmosfera, che è la causa del riscaldamento del clima, è il risultato delle attività umane (utilizzo di combustibili fossili e deforestazione). Tuttavia, il riscaldamento è mitigato dagli oceani e dagli ecosistemi terrestri, che sono in grado di assorbire gran parte delle emissioni di CO2. Gli oceani del pianeta sono il principale deposito di carbonio, ma negli ultimi dieci anni sono diventati sempre meno in grado di svolgere questo ruolo, sia nel nord che nel sud del mondo.