Sabbie mobili: creazione cinematografica o agghiacciante realtà?

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Per sabbie mobili si intende una massa di sabbia fine, più o meno satura di acqua, caratterizzata da una debole capacità di sostenere pesi. Nel caso tipico, si tratta di un miscuglio tra argilla ed acqua salata. Questa sabbia trattiene bene l’umidità grazie ai minuscoli pori presenti nei granelli.

I film dell’orrore descrivono spesso la morte di una persona inghiottita dalle sabbie mobili, ma un esperimento dimostra che non si tratta di un evento molto probabile. Thomas Zimmie, un esperto di meccanica dei suoli del Rensselaer Polytechnic Institute di Troy nello Stato di New York, ha mescolato fra loro sabbia, argilla e acqua nelle corrette proporzioni, ha posto sulla superficie del composto alcuni grani di alluminio della stessa densità di un corpo umano e ha visto che cosa accadeva. I grani sono stati solo parzialmente sepolti. Quindi nessun inghiottimento! Allora perché i film ci propinano dolci fanciulle e prodi eroi che disperatamente si contorcono cercando invano di liberarsi dal funesto epilogo? La risposta è proprio questa.

Un mistero che per secoli ha affascinato l’umanità: l’aurora boreale

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E’ un fenomeno luminoso formato da larghe fasce colorate di rosso, azzurro, verde che si presentano nelle regioni polari sia verso il polo nord sia verso il polo sud. E’ l’energia del vento solare che si trasforma in luce quando si scontra con l’atmosfera della Terra.

Per secoli le aurore hanno costituito un mistero che ha affascinato l’umanità, sfidato gli scienziati, intimorito gli animi delle popolazioni nomadi del Nord Europa, e sono state anche oggetto di congetture ed ipotesi fantasiose da parte di illustri filosofi. I primi osservatori che hanno testimoniato il fenomeno sono stati i Cinesi, i quali descrissero le aurore nel II° secolo a. C come “nuvole luminose che infiammavano le colline”.

Grattacielo eolico senza impatto visivo a Chicago

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Uno dei problemi principali con cui devono confrontarsi gli architetti che operano nell’ambito della bioedilizia, è quello dell’impatto visivo.
Anche se sembra irrilevante per coloro che hanno a cuore l’ecoenergia, l’estetica di palazzi e costruzioni ecologiche non è un particolare trascurabile per molti.

Gli sforzi della bioarchitettura si stanno orientando proprio verso il superamento di questo ostacolo, probabilmente per dimostrare che non necessariamente le costruzioni che sfruttano l’energia eolica e solare sono antiestetiche.
Gli architetti Adrian Smith e Gordon Grill, muovendosi in questa direzione, hanno progettato un nuovo grattacielo eolico senza impatto visivo.

Aria e Vento danno alla luce due piccoli falchi

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Aria e Vento, due falchi pellegrini inquilini del cornicione della Facoltà di Economia della Sapienza di Roma, hanno avuto due piccoli. Altre uova stanno per schiudersi.
Il lieto evento è stato ripreso dalle telecamere del progetto BirdCam, nato dalla collaborazione della Facolta’ di Economia della Sapienza, di Terna, del Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale e di Ornis Italica.

I due pulli sono stati battezzati col nome di Tati e Ponentino. Gli ornitologi ne controlleranno la crescita grazie all’inanellamento, che consente di seguirne gli spostamenti.

Uragani e surriscaldamento terrestre: da Londra dati preoccupanti.

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I cambiamenti nella temperatura della superficie del mare sarebbero causa dell’aumento dell’attività degli uragani nel Nord Atlantico. La ricerca, effettuata da alcuni scienziati dell’ UCL (University College of London), mostra che un aumento di 0,5 ° C della temperatura della superficie del mare è causa di un incremento del 40% degli uragani. Lo studio, condotto dal professor Mark Saunders e dal dottor Adamo Lea del Benfield Hazard Research Centre e dagli scienziati dell’UCL Tropical Storm Risk, ha rilevato come tra il 1996 ed il 2005 nell’Atlantico vi sia stato un aumento del fenomeno uragani connesso al riscaldamento della superficie locale del mare.

La ricerca si concentra sulle tempeste tropicali che hanno colpito il Nord Atlantico, il Mar dei Caraibi ed il Golfo del Messico, un’area, questa, che produce quasi il 90% degli uragani. In particolare prende in analisi le tempeste tropicali che hanno raggiunto gli Stati Uniti nell’arco di tempo compreso tra il 1950 ed il 2005. Per quantificare il ruolo del riscaldamento del mare, è stato necessario prima capire l’interazione tra la circolazione atmosferica e la temperatura in superficie del mare e come quest’ultima fosse connessa all’aumento della frequenza dell’attività degli uragani.