UE, le famigerate farine animali riammesse negli allevamenti intensivi

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L’UE riammette negli allevamenti intensivi le famigerate farine animali. Si parte, dal prossimo 1 giugno, con la reintroduzione nell’acquacoltura, ma torneranno anche per suini e pollame nel 2014. Bovini esclusi, visto che la pericolosa pratica fu alla base dell’epidemia di mucca pazza. Una decisione che lascia sconcertati.

L’UE riammette le farine animali negli allevamenti di pesci a partire dal prossimo primo giugno. Poi le farine animali prodotte con scarti di macellazione potranno tornare a essere utilizzate anche per gli allevamenti intensivi di suini e di pollame “non prima del 2014”, però. Come se questo rappresentasse in qualche modo un’attenuante. La decisione dell’Europa non è in realtà una sorpresa in quanto già ad agosto dello scorso anno si parlava della rimozione del bando sulle farine animali responsabili del morbo della mucca pazza. Su quanto deleterio e pericoloso possa essere alimentare animali in allevamenti intensivi con scarti di macellazione, farine di ossa e di carne ricavate dai corpi di altri animali, esiste ormai un’ampissima bibliografia, si resta quindi sconcertati dalla leggerezza con cui l’Unione Europea ha deciso di rimuovere il divieto di somministrazione negli allevamenti, lasciando il bando per i soli bovini.

Secondo l’UE, tuttavia, le nuove farine animali saranno sicure in quanto ricavate da tagli adatti al consumo umano e in quanto verrà escluso il cannibalismo, nel senso che determinati animali, come i suini dal 2014, non verranno alimentati con resti di altri suini. Se queste giustificazioni dell’UE non vi convincono non siete certo i soli a nutrire dei dubbi riguardo a questo nuovo regalo all’industria della carne. Si fa un gran parlare di sicurezza alimentare e di lotta al cibo spazzatura e agli alimenti potenzialmente pericolosi e poi ci si ritrova con una decisione come questa. Altri alimenti per animali dall’allevamento, come le farine di pesce per l’acquacoltura e i cereali per i suini, stanno conoscendo un incremento dei costi, è una delle altre giustificazioni, ma non solo, in un certo senso si sottolinea anche come sia una decisione con risvolti di ecosostenibilità: meno bisogno di foraggio equivale a meno superficie agricola “sprecata” per l’alimentazione degli animali e meno pesticidi, fertilizzanti, erbicidi adoperati. Un’argomentazione debole. L’industria della carne è la meno sostenibile che ci sia, quindi dobbiamo ricordare che si parla di vaghi risvolti di ecosostenibilità volti a sostenere un’industria spaventosamente inquinante, aumentando al contempo i rischi per la salute dei cittadini. Dov’è la logica in tutto questo?

Photo Credits | SeeMidTN su Flickr

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