
Se gli Stati Uniti smettessero di allevare bovini potrebbero nutrire tre volte tanto il numero di persone che sfamano ora
Questo in sintesi il succo di una ricerca condotta dall’Università del Minnesota contro il consumo di carne nel mondo. Le calorie assunte da una persona che mangia carne bovina, equivalgono ad appena il 10% di quelle acquisite dall’animale dal suo nutrimento con prodotti agricoli. Questo significa che dall’allevamento al consumo di carne si perde il 41% delle calorie. Quindi se non si mangiasse carne bovina si potrebbero sfamare tre volte tanto il numero di persone che oggi consumano carne.
Se c’è un Paese al mondo che non riesce proprio a fare a meno dell’energia nucleare, quello è gli Stati Uniti. Passata la “febbre” legata al disastro di Fukushima, il Governo americano ha deciso di andare avanti con il suo programma nucleare come se nulla fosse. Ma non la pensano allo stesso modo i cittadini, e la dimostrazione la si è avuta in queste settimane quando le proteste di piazza sono riuscite nell’impresa di far chiudere 2 reattori.
La scorsa settimana vi riportavamo della
Lì dove è nato, l’OGM potrebbe morire. La scienza degli organismi geneticamente modificati aveva trovato soltanto negli Stati Uniti un terreno fertile dove poter progredire. L’Europa ha da tempo detto no, l’Africa non se li può permettere e forse soltanto l’Asia, ed in particolare la Cina, potrebbe rimanere l’ultimo baluardo. Ciò che conta però è che i cittadini statunitensi, che non hanno mai visto di buon occhio gli OGM, ora sono insorti.
La messa al bando dei pesticidi contenenti neocotinoidi per due anni
L’ennesimo duro colpo al nucleare negli Stati Uniti arriva da chi non ti aspetti. Ieri infatti una commissione per la sicurezza istituita in via ufficiale circa due anni fa per stabilire la pericolosità delle centrali nucleari in caso di incidente ha stabilito che non servono attentati, terremoti o altri eventi eccezionali per creare un disastro in quanto le centrali americane, tutte e 104, sono difettose.
Questa volta una delle promesse fatte in campagna elettorale sull’ambiente è stata mantenuta. L’amministrazione Obama ha avviato l’iter per realizzare una sorta di “prezziario” per quanto riguarda le emissioni di carbonio prodotte negli Stati Uniti. Lo ha rivelato con un tweet il senatore Henry A. Waxman, uno dei proponenti, prima ancora che la legge diventasse pubblica. Si tratta di una svolta storica per l’ambientalismo in quanto, una volta per tutte, si stabilisce che chi inquina paga.
Gli Stati Uniti sono sempre stati accusati di essere prima il Paese più inquinante al mondo, e poi il secondo dopo la Cina. Ma a breve i Paesi europei potrebbero superare quelli americani. Un nuovo studio effettuato dalla EIA (Energy Information Administration) ha mostrato come negli ultimi anni c’è stato un crollo della domanda del carbone negli Stati Uniti. Di conseguenza il prezzo si è abbassato ed è diventato talmente conveniente che per le altre nazioni è diventato allettante.
Sembra incredibile ma gli americani senza un piano e senza una strategia concreta sono riusciti nell’intento di ridurre le proprie emissioni. E di parecchio pure. Stando ai numeri del Bloomberg New Energy Finance (BNEF) che ha realizzato lo studio per conto del Business Council for Sustainable Energy (BCSE), le emissioni del 2012 sono scese al livello di 18 anni prima.
Buone notizie sul fronte rinnovabile. Nonostante in America non si vogliano porre limiti alle emissioni o obiettivi di crescita delle rinnovabili, anche senza regole ferree il comparto dell’energia pulita si sta ritagliando sempre più la sua fetta di mercato. La potenza installata nei primi 11 mesi del 2012 (ma a dicembre non dovrebbe cambiare molto) di energia eolica è stata leggermente superiore a quella del gas naturale (6.519 MW contro 6.335 MW), ma addirittura più del doppio del carbone.
Sarà stato il richiamo all’ordine del segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon a rimettere tutti in riga, ma fatto sta che improvvisamente ieri si è registrato uno strano buonismo nelle parole dei delegati più attesi, quelli cioè di Cina e Stati Uniti. Ha lasciato sorpresi (positivamente) il delegato cinese Xie Zhenhua che aveva esordito con il solito ritornello “i Paesi industrializzati devono fare di più”, per poi aggiungere però “anche noi siamo disponibili a fare la nostra parte”.
Il presidente Obama aveva affermato di voler investire nelle rinnovabili, ma nonostante questo non si ferma la macchina petrolifera. Con l’obiettivo di tagliare la propria dipendenza dalle risorse estere, gli Stati Uniti hanno avviato già da qualche anno un programma per il recupero delle fonti energetiche dall’interno dei propri confini. Ma l’incremento negli ultimi tempi è stato così repentino che secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) gli Usa potrebbero diventare il principale produttore di petrolio al mondo entro il 2017.