“Taranto la città malata”, dall’Ilva alle pecore contaminate da diossina

Risale al 2005 il video shock realizzato da Vittorio Vespucci, un tarantino che vive a Treviso dal 1995, dal titolo cupo come una nube tossica:”Taranto, la città malata“. Immagini crude di cieli inquinati dal mostro, lo stabilimento dell’ILVA, che da solo produce elevate quantità di diossina.
In questa città della Puglia, il numero delle morti per tumori è aumentato di oltre il 100% dal 1971 ad oggi. Pensate che l’Ilva di Taranto è responsabile da sola di ben il 9% delle emissioni totali di diossina prodotte in tutta Europa.

A distanza di tre anni da quel filmato di denuncia, vogliamo ripubblicare quelle immagini di degrado ambientale e abbandono del territorio. Oggi, infatti, si ritorna a parlare dell’ILVA dopo le recenti proteste dei cittadini, tra l’altro mai placatesi, che mirano più che a far chiudere la fabbrica, che da’ migliaia di posti di lavoro alla popolazione locale, a trovare soluzioni alternative, come l’adeguamento a parametri e a norme meno inquinanti e più rispettose non solo dell’ambiente, ma della salute degli abitanti del posto, gravemente compromessa dalle emissioni.

Emissioni auto, Europa sigla accordo a tre

Finalmente trovata un’intesa europea sulle emissioni di C02 dovute al traffico automobilistico. Una notizia di questi giorni che fa risorgere un filo di speranza sul futuro dell’Unione, da sempre attenta ai problemi ambientali, ma che sembrava essere finita in letargo per via della crisi economica incombente.

L’accordo a tre raggiunto da Commissione UE, Consiglio e Parlamento europeo, si occupa della regolamentazione delle nuove vetture in circolo, disponendo pesanti tagli alle emissioni dei veicoli e sanzioni proporzionali alla quantità di agenti inquinanti immessi nell’atmosfera.
E appare soddisfatto dei risultati ottenuti il relatore Guido Sacconi (Pse):

L’intesa è molto soddisfacente, non si tratta solo di un’operazione di politica ambientale ma anche di politica industriale.

New energy for America, l’ecologia di Obama non contagia l’Italia

Mentre il neoeletto presidente degli Stati Uniti Barack Obama chiama a raccolta i maggiori cervelli del Paese per risolvere la crisi economica e provare a cambiare il mondo, in Italia si avverte sempre più forte l’esigenza di continuare a porre veti e freni ai protocolli ambientali proprio per risolverla la stessa crisi.

Qualcosa non quadra e ci rendiamo sempre più conto che se l’America può, noi non vogliamo nemmeno provare a farla qualcosa. O meglio, il nostro amato premier Silvio Berlusconi si è recato in Spagna a ribadire la sua tesi che vista l’emergenza economica chissenefrega di salvare il Pianeta, più o meno il concetto era quello, inutile fare tanti bei giri di parole e di retorica vuota a rendere. Meglio tutti più ricchi e felici con tanti soldi da spendere per curare il cancro ai polmoni, decontaminare l’acqua del rubinetto, acquistare prodotti biologici sempre più costosi. Dov’è il risparmio?

A Firenze operazione di Terra! contro l’inquinamento dei SUV

Le automobili fanno male: inquinano l’ambiente con le loro emissioni nocive e danneggiano la salute umana. Inoltre, come ci spiega Paola Pagliaro, uno studio del Centro internazionale per la ricerca sul clima e l’ambiente (Cicero) ha evidenziato che le auto hanno una forte incidenza sul riscaldamento globale. Per tutti questi motivi, alcuni attivisti dell’associazione ambientalista Terra! hanno organizzato a Firenze un’azione di protesta contro l’inquinamento da CO2 da auto ed in particolare da SUV. La scorsa notte sono stati piazzati 40 cartelli stradali di divieto di accesso ai SUV nei 20 varchi di accesso alla ZTL della città di Firenze. “Vietato l’ingresso al centro storico per i veicoli con emissioni di CO2 superiori a 120 g/km”, “Vietato l’accesso ai SUV”, “Vietato respirare!” cosi recitano alcuni dei cartelli posizionati dagli attivisti di Terra!.

Il fenomeno delle Brown Clouds, tredici metropoli sorvolate dall’inquinamento

L’allarme sulle nubi marroni che sovrastano numerose grandi città di tutto il mondo è stato lanciato da un nuovo rapporto dell’Unep, scatenando l’immediata preoccupazione dell’opinione pubblica mondiale sul futuro del Pianeta e sulle possibili conseguenze degli addensamenti di inquinanti sui centri urbani.
Si tratta di vere e proprie foschie di un marrone sporco dense talvolta più di un miglio che oscurano il cielo su vaste aree dell’Asia, del Medio Oriente, dell’Africa Meridionale e del bacino amazzonico.

Livelli elevati di sostanze tossiche nell’atmosfera sono stati segnalati su tredici metropoli: Bangkok, Pechino, Il Cairo, Dacca, Karachi, Calcutta, Lagos, Mumbai, Nuova Delhi, Seul, Shanghai, Shenzhen e Teheran.
La presenza delle Brown Clouds rischia di cambiare i modelli meteorologici globali e minaccia la salute e l’approviggionamento alimentare.

Canada e Germania insieme a Obama contro il riscaldamento globale

Yes, we can. L’ormai famoso motto del neoeletto presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, infonde fiducia e ottimismo, anche negli altri Paesi, tranne forse nel nostro, come leggevo nei commenti rilasciati sul New York Times, relativamente alle polemiche sull’abbronzatura di Obama, la carineria di Berlusconi. Un lettore italiano ha sintetizzato in una sola frase, il nostro stato d’animo frustrato e imbavagliato: We can’t.

Ebbene, fortunatamente, nei Paesi civili, they can, si pensa già ad un’adesione ad un eventuale programma del partito democratico americano, che faccia fronte al fenomeno allarmante del riscaldamento globale.
Soprattutto nei Paesi i cui governi, a differenza del nostro, hanno ospitato Obama e parteggiato dichiaratamente per la sua vittoria, già prima che questa fosse certa e dichiarata (noi nel frattempo, mentre tutto il mondo pregava per l’elezione di Obama, facevamo costosi regali a Bush a spese dei contribuenti, rappresentati, bene o male, dal nostro illustre premier viso pallido, è una carineria anche la mia!).
A dichiarare la volontà di perseguire intenti comuni contro la crisi ambientale e l’annoso problema delle emissioni, in prima linea ci sono il Canada e la Germania.

Charcoal & Chalk, abiti maschili emissioni zero

Abbiamo spesso segnalato le iniziative a favore dell’ambiente lanciate da numerosi marchi e case di moda, al fine di ridurre l’impatto sulla Natura e le emissioni nell’intero processo di produzione di indumenti e accessori.
Dai materiali ecologici all’utilizzo di risorse rinnovabili al riciclaggio, la moda in oggi sembra coincidere con le ultime tendenze green. Oggi torniamo a parlare di eco-moda, rivolgendoci soprattutto agli uomini d’affari, ai manager e a chiunque per motivi professionali è vincolato ad indossare giacca e cravatta per recarsi al lavoro. E’ stato infatti ideato il primo abito maschile ad emissioni zero, l’ideale per chi vuole essere elegante e al tempo stesso contribuire a non inquinare la Terra.

Il merito di questa new entry nel campo della moda green è del designer britannico Austen Pickles, della Charcoal & Chalk.
Alla base della realizzazione di questi completi maschili il meccanismo della compensazione ambientale. Le emissioni prodotte durante il processo di fabbricazione e lavorazione dei materiali vengono infatti quantificate e “pareggiate” piantando alberi e fornendo aiuti economici per la preservazione degli habitat naturali e delle riserve protette.

Stoccaggio del carbonio nelle zone umide, una soluzione ai cambiamenti climatici

Mentre l’incremento nella distruzione delle zone umide potrebbe scatenare un vero e proprio disastro ecologico, gli scienziati hanno scoperto che il ripristino di questi vulnerabili ecosistemi potrebbe rappresentare una soluzione valida ai cambiamenti climatici in corso attraverso la creazione di una rete mondiale di potenti pozzi di assorbimento del carbonio.

Si tratta di un progetto di ricerca alquanto ambizioso, lanciato dall’Us Geological Survey, i cui costi di realizzazione si aggirano intorno ai 12,3 milioni dollari. L’idea alla base di questo piano è quella di catturare e immagazzinare il carbonio nelle zone umide, come ad esempio paludi, acquitrini, torbiere, estuari. Il programma di attuazione è stato ufficialmente lanciato quest’estate (anche se gli scienziati ci lavoravano già da tempo) e, secondo le stime degli esperti, ha già fatto registrare i primi significativi risultati.

Emissioni da traffico marittimo, raggiunto un accordo internazionale

L’International Maritime Organization è riuscita nell’intento di trovare un accordo, ben accetto da tutti i Paesi aderenti, sul regolamento delle immissioni nell’atmosfera di agenti inquinanti provenienti dalle navi da carico addette allo spostamento a fini commerciali delle merci, da un continente all’altro.
Giovedì scorso è stato infatti approvato un provvedimento che prevede più rigidi controlli sull’inquinamento atmosferico derivante dalle circa 300.000 grandi navi che solcano costantemente gli oceani.

Le emissioni prodotte dalle navi a vapore nei porti, dallo scalo di Rotterdam a Shanghai fino a Long Beach, sono infatti  responsabili, ogni anno,  di circa 60.000 morti premature in tutto il mondo.
Le nuove norme, che differiscono di poco dalle proposte che l’associazione internazionale aveva approvato nel mese di aprile, dovrebbero contribuire a ridurre le emissioni di zolfo derivanti dall’uso di combustibili sulle navi del 63%  a partire da luglio del 2010, e di oltre il 95% dal gennaio 2015.
Ovviamente la riduzione è prevista in aree i cui confini saranno stabiliti dai singoli Paesi, in prevalenza lungo le coste, dove causano i maggiori danni.

L’acidificazione degli oceani, dalla rivoluzione industriale incremento del 30%

L’acidificazione degli oceani, come recita Wikipedia:

è il nome dato alla decrescita del valore del pH oceanico, causato dalla assunzione di anidride carbonica di origine antropica dall’atmosfera.
A causa dell’alta immissione di anidride carbonica nell’atmosfera ad opera dell’uomo gli scambi di CO2 non sono più equilibrati, e quindi nell’acqua marina c’è molta più CO2 del normale.
Dal momento che l’anidride carbonica in acqua si scioglie e produce acido carbonico (H2CO3), con un’elevata concentrazione di anidride carbonica aumenta l’acidità degli oceani.

Dalla Rivoluzione industriale ad oggi l’incremento nei livelli di acidità oceanici è giunto al 30%. Per discutere del problema, 250 scienziati provenienti da 32 diversi Paesi del mondo, si daranno appuntamento all’Oceanographic Museum di Monaco da domani 6 ottobre fino al 9 ottobre, nel corso del “Second Symposium on the ocean in a high CO2 world”.

Lo stoccaggio di CO2 in USA diventa legge

In Europa, per ridurre il problema dell’inquinamento, si era pensato a tassare quelle industrie che avevano delle emissioni troppo alte, oppure applicargli delle tasse in proporzione a quanto si inquinava. In America, come al solito, sono più avanti, e martedì scorso è stata presentata una norma che obbligherà tutte le industrie a creare depositi sotterranei di CO2, per catturare e stoccare tutti i gas che emetteranno.

L’annuncio l’ha dato l’Environmental Protection Agency, e riguarderà prima di tutto quelle industrie che produrranno energia elettrica, le prime al mondo come emissioni di gas serra. Ora saranno obbligate ad iniettarli nel sottosuolo, e la Terra ringrazia.

Emissioni: sotto accusa le grandi navi da carico

Le grandi navi da carico che solcano mari e oceani stipate di merci inquinano il doppio di quanto si era stimato precedentemente.
Sono gli allarmanti risultati di un recente studio condotto dagli scienziati del NOOA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e dai ricercatori della University of Colorado e pubblicato dalla rivista Geophysical Research Letters.

Tra tutte le emissioni inquinanti, quella delle navi commerciali è stata finora la meno studiata.
In realtà, le enormi imbarcazioni adibite al trasporto delle merci da una parte all’altra del mondo, inquinano eccome.