Ciclone Nargis, 15 mila morti in Birmania, e il numero potrebbe continuare a crescere

di Redazione 1

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Venti a 240 km/h, acqua che arriva dall’alto e dal basso, per lo straripamento del fiume Irrawaddy, due milioni di persone coinvolte, di cui 15 mila morti, 30 mila dispersi. E’ questo il bilancio di una delle più gravi catastrofi che hanno colpito l’Asia, ed in particolare la Birmania, già devastata dai confilitti interni tra i monaci e il regime militare.

Uno dei paesi più chiusi del mondo è stato costretto ad accettare gli aiuti internazionali di quelle nazioni che da sempre ha tentato di tenere lontano dai propri confini, ma di cui adesso non può fare proprio a meno. Il Ciclone Nargis, tempesta tropicale di categoria 3, cambierà per sempre la vita dei birmani, o almeno di quelli che resteranno vivi. E’ infatti al momento il secondo disastro naturale della storia dell’Asia, dopo quello che nel ’91 causò la morte di 143 mila persone in Bangladesh. Ma il rischio è che questo triste primato venga prima o poi superato.


Il ministro degli esteri Nyan Win, parlando alla tv di Stato, ha annunciato la morte di 15 mila persone, rivedendo tragicamente al rialzo un dato che non sembrava credibile, diffuso neanche 24 ore prima: quello di soli 351 morti. Anche in questi casi il regime non perde l’occasione per autocensurarsi, e dopo un altro giorno di conteggio dei danni, la richiesta d’aiuto è inevitabile.

La catastrofe ha colpito dai villaggi più remoti ai margini del fiume Irrawaddy ad una delle città più popolose della nazione, Rangoon, che conta 5 milioni di abitanti. Secondo i dati delle Nazioni Unite, i senzatetto sarebbero centinaia di migliaia, ma il numero cresce di ora in ora, e potrebbe superare presto il milione. Le regioni colpite dal ciclone sono state 5, e ha lasciato senza energia elettrica migliaia di persone, aiutate proprio da quei monaci che solo un anno fa venivano malmenati dai militari. In alcune zone si è arrivati all’abbattimento anche della metà delle abitazioni.

La Birmania si è vista così costretta ad aprire le porte agli aiuti internazionali, tra cui anche quelli degli Stati Uniti. Intanto l’Italia ha stanziato 123 mila euro attraverso il Ministero degli Affari Esteri, da girare alla Croce Rossa per gli aiuti umanitari. Già 5.000 litri d’acqua potabile sono stati portati nelle zone colpite dal disastro, ma anche kit di sopravvivenza, zanzariere (ricordiamo che lì ci sono insetti terribili come le zanzare tigre), teli di plastica e coperte. Ma il governo evidentemente non ci sta a far mettere il naso agli stranieri in ogni angolo del territorio. «Abbiamo cercato di raggiungere le zone più isolate», ha spiegato Michael Annear, portavoce della Croce Rossa Internazionale, «ma molte strade sono inaccessibili». Ad ostacolare i soccorsi, secondo fonti della dissidenza, sono anche le restrizioni agli spostamenti imposte dalla giunta militare alle organizzazioni umanitarie.

Ma anche la tecnologia fa la sua parte. Il Politecnico di Torino sta collaborando con le organizzazioni internazionali per studiare i dati che arrivano dal satellite, che individuano le zone colpite, e quindi permettono di sapere nel giro di pochi minuti quanti e quali aiuti inviare, e le strade da prendere per raggiungere più celermente le zone colpite, militari permettendo.

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