Il nucleare italiano, nella sua pur breve esistenza, ci ha trasmesso un’eredità pesante che raccogliamo nostro malgrado e controvoglia perché siamo costretti a recuperarla, un po’ come certe storie che ci tramandano di generazione in generazione ma che siamo stanchi di continuare a raccontare. Le ripetiamo come automi, senza convinzione, finché un giorno ci svegliamo e cominciamo a chiederci perché e a mettere in discussione quel passato che spesso ci fa sentire piccoli ma che, a guardar bene il presente, non merita poi tutta questa grande considerazione. Forse, ci diciamo, è arrivato il momento di inventare una nuova storia, una storia nostra, da raccontare.
Tanto più che nell’atomo, in fondo, in Italia in pochi ci hanno creduto davvero, al punto che, pur essendo stati sempre coscienti dei rischi correlati, vederli in mondovisione ha fatto battere in ritirata molti fautori del nucleare nello stesso Governo. Quelli che cambiare idea è inimmaginabile ora, pieni di se e di ma, stanno tirando fuori quei contro che nascondevano bene, sotto le mentite spoglie di una fragile quanto presuntuosa apparenza di un sicuro al 100%.
In Italia le scorie vagano ancora: nei depositi, nei centri di ricerca, nelle centrali chiuse dopo il referendum… ci raccontano di quell’errore, di quell’investimento sbagliato e senza futuro, retaggio di uno sbaglio da cui pure ci si era ravveduti e che ora siamo chiamati a correggere per la seconda volta, come se divorziare due volte dalla stessa persona non testimoniasse sempre e soltanto di un’unica convivenza divenuta impossibile.
La mappa delle scorie radioattive che ci siamo divisi, quei beni insozzati di veleno che nessuno voleva dopo la separazione dall’atomo, da Nord a Sud della penisola, la traccia L’Espresso.
Saluggia, in provincia di Vercelli; Trisaia (Rotondella) in provincia di Matera; Sessa Aurunca, in provincia di Caserta; Anguillara Sabazia (a Nord di Roma); Trino Vercellese e Caorso (Piacenza). E’ l’elenco dei siti più a rischio.
Il settimanale riporta la presenza di 100 mila metri cubi di rifiuti radioattivi in Italia
con tempi di decadimento che vanno da qualche mese o anno (i rifiuti della medicina nucleare) a centinaia di migliaia di anni (il plutonio). Mettere in sicurezza il nucleare del passato ci costerà almeno 4,5 miliardi di euro, in parte prelevati dalle bollette (alla voce A2), che la società incaricata Sogin sta spendendo per smantellare le centrali e neutralizzare i rifiuti. Il tutto dovrebbe essere terminato entro il 2020, anno in cui gli impianti francesi e britannici cominceranno a restituirci ben impacchettate le scorie derivanti dal riprocessamento del combustibile esaurito.
E così le scorie ricominceranno a vagare, non lasciandoci altro materiale da utilizzare se avessimo la voglia e la forza di voler scrivere una storia nuova, che faccia meno paura al Paese, che sia meno sporca per le orecchie dei bambini, un racconto in cui si possa usare il futuro…
Articoli correlati:
Scorie nucleari, in Italia già si contano 100mila metri cubi
Commenti (2)