Pablo Fajardo: una voce per l’Amazzonia

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Pablo Fajardo, avvocato ed indio di etnia, ha 31 anni e sta combattendo contro i petrolieri in Ecuador, rappresentando piu’ di 30mila persone, soprattutto indigeni della regione del Lago Agrio. Questa lotta sembra tanto quella di Davide contro Golia, lui ha chiesto infatti 1.500 milioni di dollari come risarcimento alla Chevron-Texaco, per la bonifica del territorio. Questa zona è stata trivellata in oltre 200 pozzi e cosa piu’ grave è stata intossicata dai rifiuti sversati illegalmente, tra cui il cromo esavalente.

La foresta amazzonica è il polmone verde del mondo, un luogo meraviglioso naturalisticamente e, la cui integrita’ è fondamentale per le popolazioni indigene e per l’equilibrio dell’ecosistema mondiale, ma le compagnie petrolifere ed i magnati industriali per anni hanno calpestato questi valori, danneggiando il territorio, inquinandolo ed approfittando dell’ignoranza delle etnie piu’ povere. Fajardo stesso, era poverissimo, ma grazie all’aiuto di associazioni umanitarie ha potuto studiare e diventare avvocato, per poter difendere i diritti del suo popolo. Lui stesso è stato testimone delle morti di decine di indios per cancro ed ha assistito al cambiamento del cuore verde della foresta, in un territorio inquinato dagli scarichi industriali, dagli oleodotti che sversano nei fiumi e nei laghi.

Rischio ambientale del petrolio: occorre legislazione più decisa

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Oggi l’impiego del petrolio è vastissimo, basti pensare ai carburanti che muovono le nostre macchine, oppure alla plastica con cui sono realizzati la maggior parte degli oggetti. Ma le sue origini sono antiche: l’asfalto, che è un suo derivato, fu impiegato nella costruzione della città di UR in Mesopotamia già nel 3000 a.C., per l’edificazione della Torre di Babele, e per vari secoli fu usato come impermeabilizzante e legante. Il petrolio è un insieme di sostanze naturali che si trovano normalmente associate alle rocce sedimentarie e derivano dalla trasformazione/decomposizione di sostanze organiche che, anzichè essere distrutte dai normali processi naturali, si conservano e si accumulano nel sottosuolo per milioni di anni all’interno delle rocce sedimentarie stesse che via via si formano.

Nel 2006 in Ecuador una fuga di petrolio dall’acquedotto della Petroecuador ha inquinato parte della riserva naturale di Cuyabeno nel nordest del paese (si tratta dell’ultima parte di foresta amazzonica, quella più vicina alle Ande).

Il fotovoltaico mette tutti d’accordo

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E’ cosa oramai nota, e non solo agli ambientalisti, che il sistema fotovoltaico permette, attraverso l’effetto di alcuni conduttori (componenti meccanici, elettrici ed elettronici), la trasformazione dell’energia solare disponibile in energia elettrica.
Con un inesistente impatto ambientale, si tratta essenzialmente di installare dei pannelli solari sul tetto delle abitazioni. E’ possibile favorire uno sviluppo sostenibile senza svantaggi o controindicazioni ambientali e, soprattutto, senza compromettere il futuro delle generazioni a venire.

L’ambiente che danneggia il nostro DNA

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Il nostro patrimonio genetico rischia, a contatto con agenti esterni, di essere danneggiato, nonostante sia dotato di un proprio sistema di riparazione, cosa rischiosa soprattutto se coinvolge informazioni fondamentali nello sviluppo del corpo e nel metabolismo cellulare. Quando si parla di malattie genetiche causate da mutazioni, ci si riferisce a patologie dovute ad una casualita’, ad un errore sporadico, ma non sempre e’ cosi’ poiche’ spesso questo errore viene generato nell’organismo, in seguito all’esposizione ad ambienti ricchi di inquinanti (sostanze chimiche, gas, tossine, virus).

Le zone geografiche d’ Italia, nelle quali sono maggiormente concentrate industrie petrolchimiche, chimiche, di vernici, soprattutto quelle in cui non c’è controllo sullo smaltimento dei prodotti di rifiuto, presentano una elevata percentuale di soggetti affetti da mutazioni genetiche. Le sostanze incriminate sono gli epossidi, le colle, gli idrocarburi, le amine aromatiche, che se rilasciate nell’aria attraverso i fumi industriali, oppure nelle acque attraverso gli scarichi, arrivano a danneggiare l’ uomo, che accumula inconsapevolmente quantita’ tossiche di tali principi.

Il Grande piano solare: dagli Stati Uniti nuove strategie energetiche

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Il 69% dell’energia elettrica consumata da un Paese che brucia più degli altri, gli Stati Uniti, potrebbe essere ricavata dall’energia solare. E’ questo lo straordinario progetto presentato sulla rivista statunitense Scientific American.
Per coprire il fabbisogno annuale del Paese sarebbero sufficienti 40 minuti di energia solare. Spiegato con unità di misura più concrete, la riconversione del 2,5 % dell’energia solare che colpisce il Sud-Ovest degli USA basterebbe a coprire quanto consumato dal Paese nel 2006. Oggi l’energia proveniente dal sole equivale solo al 6% del totale, secondo il Grande piano solare è destinata ad aumentare fino al 69% con la produzione di ben 3000 gigawatt.

Tagli all’acqua, a causa del riscaldamento globale

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Non c’è più acqua, o almeno non ce n’è più come un tempo. Un articolo pubblicato su Science (1 febbraio 2008) da un gruppo di esperti di idrologia e climatologia richiama l’attenzione su un fenomeno che rischia di essere sottovalutato.

Spiega uno dei coautori Tennis Lettenmaier, professore di ingegneria civile alla University of Washington:

«Con il cambiamento climatico, gli anni passati non sono necessariamente rappresentativi per il futuro», «Questo lavoro dimostra che il modo in cui sono stati condotti gli affari nel passato non funzionerà a lungo con un clima che cambia».

Quando parla di affari Lettenmaier si riferisce a quelli degli Stati Uniti, e in particolare ai 500 miliardi di dollari annui per le infrastrutture idriche. Questi calcoli andavano bene finchè reggevano gli schemi classici di una variazione costante nelle risorse idriche. Ma l’interferenza umana ha prodotto grandi cambiamenti nel clima del nostro pianeta. Pioggia, neve, correnti: tutto è cambiato, fenomeni fondamentali per chi deve gestire le risorse di acqua e calcolare i periodi di siccità o la probabilità di una qualche catastrofe legata al clima, come inondazioni o uragani.
I risultati della ricerca si estendono dunque ben al di là dei confini statunitensi, e investono l’intero pianeta. «Storicamente, guardare alle osservazioni passate si è rivelato un buon metodo per stimare le condizioni future», interviene Christopher Milly, idrologo del Us Geological Survey. «Ma il cambiamento climatico moltiplica le possibilità che il futuro porti inondazioni mai riscontrate nelle vecchie misurazioni».

Il passato è morto, dicono in sostanza i ricercatori, e anche se riuscissimo a ridurre di molto le emissioni di gas serra, il riscaldamento persisterà e lo schema globale delle acque continuerà a mostrare comportamenti mai visti in precedenza.
Naturalmente la situazione cambia a seconda della regione geografica: «Le nostre stime migliori attualmente ci dicono che la disponibilità d’acqua crescerà sostanzialmente nel nord dell’Euasia, in Alaska, in Canada e in alcune regioni tropicali, e decrescerà sostanzialmente in Europa, nel Medio Oriente, nel sud dell’Africa e nel Nord America sudoccidentale», dice Milly.