Deforestazione, 40 ettari di alberi tagliati ogni giorno per produrre le bacchette cinesi

Tra le tante attività anti-ecologiche che si praticano in Cina, c’è quella forse più nota al mondo: l’utilizzo delle bacchette per mangiare. Ci eravamo già occupati delle bacchette in avorio prodotte dalle zanne degli elefanti, ma il problema è che sono molto più comuni quelle in legno usa e getta.

Pare che addirittura il Ministero del Commercio cinese si sia reso conto che la situazione stava diventando insostenibile, ed ha per questo inviato un avviso ai produttori delle bacchette per avvertirli che la

Produzione, la circolazione ed il riciclaggio delle bacchette usa e getta dovrebbero essere più strettamente controllati.

Il motivo? Con circa 45 miliardi di paia di bacchette monouso ogni anno nel Paese, ovvero circa 130 milioni al giorno, un’enorme quantità di legno viene sprecato. In un Paese che sta cercando di aumentare la copertura forestale (da circa l’8% nel 1949 al 12-13% di oggi), non ci si può permettere il lusso di abbattere alberi con così tanta leggerezza.

Foreste, al bando legno illegale in Europa

legge salva foresteLa vita si fa dura per la mafia del legno. O almeno in Europa, finora uno dei suoi mercati più importanti, grazie ad una legge votata nei giorni scorsi dal Parlamento europeo che blocca l’ingresso in Unione del legno illegale.
Con legno illegale si intende la maggior parte delle importazioni che giungono in Europa da Paesi in cui, a causa dei deboli meccanismi di controllo, le imprese criminali si macchiano di scempi ambientali e deforestazione sregolata, arricchendosi a spese dello sradicamento di intere foreste e spesso finanziando sanguinose guerre civili con i proventi. Pensiamo al fenomeno della deforestazione illegale che si perpetua in Amazzonia, nell’Africa Centrale, in Russia e nel Sud Est Asiatico.

Stando alle stime diffuse dall’Onu, il legno abbattuto illegalmente rappresenta il 24-40% della produzione mondiale, con un volume compreso tra i 350 e i 650 milioni di metri cubi l’anno.

La riforestazione può mitigare la lotta ai cambiamenti climatici

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Gli scienziati dell’Università dell’Oklahoma e dell’Università Fudan di Shanghai, in Cina, hanno scoperto che il rimboschimento e l’imboschimento (la creazione di nuove foreste) possono ridurre il potenziale dei boschi di diminuire i cambiamenti climatici. Yiqi Luo, professore di ecologia al College UO delle Arti e delle Scienze, Dipartimento di Botanica e Microbiologia, e Changzhang Liao, Bo Li e Changming Fang, docenti di ecologia presso l’Università Fudon, Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva, hanno esaminato se le piantagioni possiedono lo stesso stock di carbonio degli ecosistemi delle foreste naturali.

In sintesi 86 studi sperimentali tra le piantagioni e le loro controparti, le foreste naturali, hanno dimostrato che le riforestazioni riducono in modo sostanziale gli stock di carbonio negli ecosistemi rispetto alle foreste naturali.

Queste diminuzioni delle scorte di carbonio degli ecosistemi dovrebbero essere considerate, insieme ad altri prodotti forestali come il legno raccolto, quando l’attenuazione totale del rimboschimento viene valutata.

ha spiegato Luo. Questo studio sfida l’idea che la crescita di specie non indigene o il potenziamento di quelle native nel territorio forestale faccia ottenere rendimenti maggiori sul recupero del carbonio dall’aria. Essi si dicono contro la sostituzione delle foreste naturali con il rimboschimento, notando che già soltanto l’imboschimento può contribuire ad evitare il cambiamento climatico.

Gli oranghi di Greenpeace invadono il salone del libro di Torino

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Dopo il successo dell’impresa della Nestlé, per cui la multinazionale ha deciso di non distruggere più la foresta pluviale per produrre olio di palma, gli orangotango tornano per una nuova battaglia, quella contro la deforestazione per la carta di milioni di libri, i quali potrebbero utilizzare benissimo la carta riciclata.

E così quale migliore occasione della Fiera del Libro di Torino? Nei giorni scorsi i volontari di Greenpeace hanno invaso lo stand della Feltrinelli, tra le aziende meno attente all’aspetto ambientale del proprio lavoro, e come prevedibile, non hanno ottenuto la risonanza a livello nazionale che speravano.

Qui hanno srotolato uno striscione con la scritta “Qui giace la foresta indonesiana“, come forma di protesta per il mancato rispetto degli impegni di una delle maggiori aziende editoriali italiane. Sin dal 2004 infatti, denuncia Greenpeace, Feltrinelli promette di prendere provvedimenti in ambito ambientale, ma puntualmente ogni anno rimanda l’attuazione di tali promesse, continuando a distruggere le foreste.

Nestlé si impegna a non distruggere più la foresta pluviale

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La battaglia contro la distruzione delle foreste per l’olio di palma di Greenpeace si può dire ufficialmente vinta. Uno dei più grandi produttori di cibo e bevande del mondo, la Nestlé, ha promesso di smettere di usare l’olio di palma legato alla distruzione della foresta pluviale. Il monitoraggio dell’impegno è stato affidato a The Forest Trust (TFT) che farà in modo che nessun prodotto provenga da imprese che possiedono o gestiscono “piantagioni ad alto rischio o aziende legate alla deforestazione”.

Nestlé e TFT hanno lavorato insieme sui criteri che garantiscano sugli acquisti riguardanti l’olio di palma. Essi infatti devono:

  • Essere derivati da piantagioni e aziende che operano nel rispetto delle leggi e dei regolamenti locali;
  • Proteggere l’alto valore di conservazione delle zone forestali;
  • Ottenere il libero consenso preventivo e informato delle comunità indigene e locali per le attività sulle loro terre;
  • Proteggere le torbiere;
  • Proteggere le foreste dall’alto “valore di carbonio”.

Gli obiettivi ambientali per il 2010 verranno quasi sicuramente disattesi

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In questi giorni si parla molto degli accordi di Copenaghen e degli obiettivi ambientali per il 2020. Ma non dimentichiamoci che questo genere di trattative non nasce oggi, ma va avanti da così tanto tempo che già quest’anno si sarebbero dovuti vedere i primi risultati. Forse per una scarsa attenzione all’ambiente, o perché impegnati in altre problematiche, ma pare proprio che, un po’ in tutto il mondo, coloro i quali avrebbero dovuto vigilare affinché questi obiettivi fossero rispettati, hanno fallito nel loro intento. O almeno non completamente.

Nel 2002 infatti un incontro simile a quello che si è tenuto a Copenaghen aveva reso noto al mondo il pericolo di perdita di biodiversità e della deriva ambientale disastrosa che il mondo stava prendendo, e per questo furono decise delle contromisure  per quanto riguarda la tutela degli animali a rischio, delle foreste abbattute, la presenza di specie aliene che minacciano l’habitat originale, l’inquinamento, il riscaldamento climatico e altro ancora. Dopo il salto vedremo com’è andata a finire.

Deforestazione: persi oltre un milione di km quadrati di foreste in 5 anni

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Tutti gli organismi internazionali che fotografano la situazione ambientale giungono sempre alla stessa conclusione: prima dell’inquinamento, prima della perdita della biodiversità e prima del problema energetico, il vero dramma che sta vivendo l’uomo è la perdita di foreste. Si tratta di un processo avviato già qualche decina di anni fa, ma ormai in continua evoluzione tanto che nemmeno le molte iniziative prese a tutela dell’ambiente sembrano fermare.

Secondo quanto riportano i ricercarcatori delle Università del South Dakota e di Syracuse (New York), nella loro ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States (PNAS), l’ammontare della perdita di foreste, a livello globale, considerando solo gli anni che vanno dal 2000 al 2005 è spaventosa: 1.011.000 km quadrati di aree verdi perse, il 3,1% delle foreste mondiali. Basti pensare, per avere un’idea della grandezza di tali numeri, che questa cifra corrisponde a 3 volte la superficie dell’Italia.

La deforestazione della foresta Amazzonica si è dimezzata nel 2009

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Finalmente una buona notizia: la deforestazione in Amazzonia è scesa del 51% nel periodo che va dall’agosto 2009 al febbraio 2010 rispetto allo stesso periodo 2008-2009, secondo i dati diffusi questa settimana dall’Istituto Nazionale Brasiliano per la Ricerca Spaziale (INPE). Gran parte del progresso è dovuto alla recente istituzione del Brazil Green Arch, Legal Land Program. Il successo di tale programma offre nuove speranze in quanto, se funziona in Brasile, potrà essere replicato in altre parti del mondo.

Dieci mesi fa, il Brasile ha iniziato ad attuare il suo programma contro la deforestazione. Secondo l’INPE, dei 43 comuni con i più alti tassi di deforestazione in Amazzonia, 12 hanno visto i loro tassi diminuire di più dell’80% rispetto al periodo compreso tra agosto 2008 e febbraio 2009, e altri 18 comuni hanno sperimentato un tasso di riduzione della deforestazione tra il 54 e l’80%. Solo un comune ha mostrato un aumento del 34%. L’obiettivo del programma è quello di ridurre la deforestazione dell’80% entro il 2020.

Ricerca mette in dubbio ecologia dei Nativi Americani

stalagmiteEtichettati spesso come i primi veri ecologisti, attenti alla difesa degli equilibri della Madre Terra, rispettata e onorata, i Nativi Americani sono ora sotto accusa a causa di una stalagmite (nella foto a destra). Un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Ohio University suggerisce infatti, sulla base del ritrovamento di un reperto, che i primi Nativi Americani hanno lasciato un’impronta di carbonio più grande di quanto si pensasse, fornendo prove che l’uomo è stato colpito dal riscaldamento globale già molto tempo prima dell’era industriale moderna.

L’analisi chimica di una stalagmite trovata nel bacino montuoso di Buckeye Creek nel West Virginia suggerisce infatti che gli indigeni americani hanno contribuito ad un significativo aumento del livello di gas serra nell’atmosfera attraverso lo sfruttamento del territorio. I primi Nativi Americani bruciavano gli alberi delle foreste per far spazio a colture di alberi da frutto, come le noci, che rappresentavano gran parte della loro dieta.

“Essi avevano raggiunto un livello abbastanza sofisticato di vivere che non penso le persone abbiano pienamente apprezzato”, ha spiegato Gregory Springer, professore associato di scienze geologiche alla Ohio University e autore principale dello studio, pubblicato di recente sulla rivista The Olocene. “Erano molto progrediti, e hanno saputo ottenere il massimo delle foreste e dai territori in cui vivevano in tutto il Nord America, non solo in poche aree (come avviene oggi, ndr).”

Mangiare come un uccellino per salvare le foreste

uccelli insettivoriLeoni, tigri e orsi, i grandi predatori insomma, stanno in cima alla piramide alimentare, lo schema che ci è ben noto fin dai primi anni di scuola. Si nutrono di animali più piccoli, vivendo dell’energia che scorre dalla base in cui le piante trasformano la luce solare in carboidrati.

Un recente studio, effettuato da un team di ricercatori dello Smithsonian Tropical Research Institute, ha analizzato le interazioni complesse al centro della piramide, dove sono collocati gli uccelli, i pipistrelli e le lucertole che consumano insetti. Questi predatori mangiano insetti in quantità sufficienti a beneficiare indirettamente le piante, aumentandone la crescita, scrivono gli scienzati.

“I nostri risultati sono rilevanti per le comunità naturali come praterie e foreste, ma anche nella coltivazione di alimenti per l’uomo, in quanto questi animali insettivori riducono i parassiti sulle piante coltivate”, ha spiegato Sunshine Van Bael, scienziato presso lo Smithsonian Tropical Research Institute.

L’urbanizzazione mette a rischio le foreste amazzoniche

foresta AmazzonicaL’urbanizzazione potrebbe avere impatti imprevisti sulle sorti già compromesse della foresta amazzonica, lasciando aree forestali vulnerabili allo sfruttamento da parte di estranei. E’ quanto afferma un recente studio pubblicato sulla rivista Conservation Letters.

Conducendo indagini sul campo nel corso di 10.000 chilometri di viaggio lungo i fiumi dell’Amazzonia, Luke Parry della Lancaster University ha scoperto che c’è un netto calo negli insediamenti rurali, che però non è stato accompagnato da un calo nello sfruttamento della fauna e delle risorse forestali. Il che indica che le popolazioni urbane prelevano un pesante tributo dalle foreste lontane attraverso la caccia, la pesca, il disboscamento e la raccolta.

Rischiano di essere abbattuti gli alberi più antichi della Terra

albero kauri

Sepolti nella torbiere della Nuova Zelanda sono più di 30.000 le registrazioni contenenti i dati sul clima antico che cominciano sin dall’ultima glaciazione. Questi dati, conservati negli anelli degli alberi Kauri, sono minacciati dalla richiesta per il legname pregiato.

Ora un gruppo di ricercatori della Oxford University è corsa a raccogliere tali dati vitali prima che sia troppo tardi. Chris Turney, il ricercatore capo del progetto, ha commentato:

Siamo di fronte ad una corsa contro il tempo per raccogliere le informazioni bloccate all’interno di questi alberi conservati.

Ma ha aggiunto,

Anche se sarà interessante per scoprire di più sulla Terra di 30.000 anni fa, le implicazioni più importanti di questo sforzo sono per la comprensione [da parte dei] climatologi delle sfide del cambiamento climatico futuro.

La deforestazione cala, ma ancora molto resta da fare

deforestazione

Nella giornata di ieri la Fao (Food and Agricolture Organization) ha presentato al mondo il suo rapporto sullo stato di salute delle foreste, il quale a primo impatto sembra incoraggiante. Pare infatti che nel periodo che va dal 2000 al 2010 il tasso di deforestazione sia calato per la prima volta nella storia. Si è infatti passati da un taglio di 16 milioni di ettari all’anno negli anni ’90, a “solo”, si fa per dire, 13 milioni all’anno negli ultimi 10 anni.

Il calo di 3 milioni di ettari non è di certo poco, ma pensare che ancora ogni anno sparisca una quantità di alberi talmente vasta quanto l’intero territorio della Grecia rimane un dato preoccupante. Secondo l’organizzazione internazionale, a rimarcare più di tutti questo scempio è l’America del Sud, dove avviene un terzo di questo taglio, seguita dall’Africa e dall’Oceania, dove però l’uomo c’entra marginalmente. In queste terre infatti sono circa 10 anni che la Natura sembra essersi ribellata e ha inviato una siccità ininterrotta che ha inaridito il terreno e favorito gli incendi, responsabili di gran parte di questo tasso di deforestazione.