Inquinamento, ridurre la fuliggine potrebbe tagliare di mezzo grado il riscaldamento globale

di Redazione 1

Altro che CO2. La principale causa del riscaldamento globale potrebbe essere la fuliggine. Un nuovo rapporto dell’UNEP (Programma Ambientale delle Nazioni Unite) evidenzia che sempre più ricerche mostrano come questo sia un fattore trascurato ma che incide molto. Chiamata anche nerofumo o black carbon, questa sostanza viene emessa dalla combustione di combustibili fossili, nei processi industriali e con la combustione di legno e altre biomasse, specialmente nelle cucine delle nazioni più povere.

La fuliggine non scalda solo l’aria, ma quando cade sui ghiacciai ne accelera la fusione. La buona notizia è che non è presente in grandi quantità nell’atmosfera ed i modi per fermarla sono molto meno complessi rispetto alla riduzione dell’anidride carbonica, metano e altri gas ad effetto serra. E, come osserva la relazione, gli effetti del taglio della fuliggine potrebbe essere enormi.

Come spiega il Guardian,

Prevenire la fuliggine nell’inquinamento dell’aria contribuirebbe a ridurre il riscaldamento globale di ben 0,5° C e ridurre il riscaldamento nell’Artico di circa due terzi entro il 2030.

Inoltre, se le raccomandazioni contenute nella relazione dell’UNEP fossero pienamente attuate, 2,4 milioni di morti premature potrebbero essere evitate ogni anno. Si tratta di decessi collegati in modo evidente all’effetto della fuliggine, come molti tipi di problemi respiratori che si creano nelle persone che la respirano regolarmente. Secondo il report esiste persino una correlazione tra l’aspettativa di vita dei bambini e la quantità di fuliggine nell’aria. Se si vive in posti abbastanza sicuri in cui ce n’è poca, salvo i casi di incidenti, i bambini raggiungono sicuramente l’età adulta.

Ma non finisce qui. Infatti è stato dimostrato anche che una riduzione della fuliggine potrebbe permettere l’incremento delle rese del frumento, riso e soia dall’1 al 4% all’anno, un altro vantaggio per la popolazione. Peccato però che per attuare queste politiche bisogna avere il consenso di decine di nazioni produttrici di emissioni che spesso, di fronte a queste problematiche, girano la testa dall’altra parte.

[Fonte: Treehugger]

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