Ambiente a rischio crescita urbana da qui a vent’anni

di Redazione 1

Crescere o decrescere? Questo è il problema. La soluzione forse è crescere sì, ma nel modo giusto optando per uno sviluppo sostenibile che coniughi il rispetto del territorio alle esigenze di un’umanità in progressiva espansione e fame di ampliamento. Pensiamo ad esempio ai luoghi del vivere, dalla desertificazione che sta interessando i piccoli centri che cadono a pezzi alla crescita onnivora di edifici alle periferie delle grandi città, un equilibrio a dir poco sbilanciato che vede, da una parte andare in rovina le vecchie case e gli antichi borghi, dall’altra diminuire la qualità della vita nei nuovi sconfinati agglomerati urbani che sorgono ex novo, occupando ulteriore territorio e sottraendo superficie agli spazi naturali.

Una soluzione l’hanno trovata sicuramente i sindaci di quei comuni, come Santa Caterina dello Ionio (CZ), che incentivano le persone a ripopolare i loro borghi con prezzi di immobili stracciati ed esentasse. Iniziative che se venissero replicate in più di pochi comuni potrebbero alleggerire la pressione sui medi e grandi centri urbani, evitando così i rischi per l’ambiente prospettati da un recente studio da qui a vent’anni di urbanizzazione selvaggia.

I ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies hanno infatti calcolato gli effetti che avrà sul territorio e sui cittadini la crescita esponenziale del tessuto urbano. Lo studio, pubblicato sull’autorevole rivista di divulgazione scientifica Plos One, ha previsto che entro il 2030 nelle metropoli confluiranno 1,47 miliardi di persone, un afflusso enorme che porterà le città a lievitare di ben 590.000 miglia quadrate, un’area, per intenderci, estesa quasi quanto l’intera Mongolia. Spiega uno degli autori, Karen Seto, che

E’ probabile che queste città si svilupperanno in luoghi biologicamente molto diversi da oggi. Si sta andando incontro ad una crescita degli insediamenti nelle foreste, nelle savane, lungo le coste e nelle zone più importanti dal punto di vista biologico.

Dal 1970 al 2000  l’impronta urbana globale si è estesa di 22.400 miglia quadrate, a ritmi veloci e vertiginosi soprattutto in Cina, India ed Africa. A pesare maggiormente sono i ceti ricchi che chiedono case più grandi e dunque sottraggono più spazio alle periferie, con un conseguente aumento di consumi ed un impatto maggiore su biodiversità ed emissioni.

[Fonte: Ansa]

Commenti (1)

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