Obama lancia l’allarme, Hu Jintao risponde: i leader mondiali uniti contro il riscaldamento globale

obama all'Onu

Circa 100 capi di Stato (tranne quello italiano) si sono riuniti nel palazzo delle Nazioni Unite di New York questa mattina per una conferenza senza precedenti sulla lotta al cambiamento climatico. Il miglior risultato lo abbiamo avuto con i leader più attesi, come Obama ed il presidente cinese Hu Jintao, i quali hanno riconosciuto che un accordo è un obiettivo importante, ma hanno anche sottolineato le proprie esigenze.

I negoziatori hanno discusso per raggiungere un accordo per ridurre le emissioni globali entro dicembre, in occasione del meeting di Copenaghen, e gli organizzatori delle Nazioni Unite sperano che questo evento darà ai colloqui un nuovo slancio politico.

Il presidente asiatico ha ammesso che la Cina ha compiuto grandi passi in avanti nello sviluppo, ma è ancora relativamente in ritardo in termini di ricchezza procapite, ma soprattutto nella lotta contro le emissioni. La causa di tale ritardo è la scarsità di capitale e tecnologia, ma soprattutto perché

i Paesi in via di sviluppo hanno limitate capacità e mezzi per affrontare il cambiamento climatico.

I Duran Duran e altre 55 star presentano la nuova canzone anti-riscaldamento globale

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Una delle rock band più famose al mondo, quella britannica dei Duran Duran, è tornata. In collaborazione con gli Scorpions, una band heavy metal, sono tra le 55 celebrità di tutto il mondo che hanno aderito all’iniziativa per la registrazione di una canzone per richiamare l’attenzione sul problema del riscaldamento globale. L’iniziativa, che ricorda vagamente quella di We Are The World degli anni ’80, o delle canzoni con temi sociali degli U2, è stata annunciata direttamente dagli organizzatori lunedì scorso.

La canzone fa parte di una campagna mediatica di massa sulle minacce del cambiamento climatico organizzato dalla sede di Ginevra del Global Humanitarian Forum, guidato dal segretario delle Nazioni Unite l’ex generale Kofi Annan. La canzone, intitolata “Beds’r Burning” (I letti stanno bruciando) non è del tutto nuova. La priva versione fu originariamente registrata dal gruppo australiano Midnight Oil nel 1980, i quali forse sono stati i primi cantanti a denunciare il problema del riscaldamento globale. La versione moderna però avrà sicuramente molto più successo, non ci sono dubbi.

Il riscaldamento globale potrebbe costare 2-3 volte in più del previsto

riscaldamento globale

Scienziati britannici hanno avvertito le Nazioni Unite a non sottovalutare i possibili impatti climatici del riscaldamento globale futuro. I costi reali dell’adattamento ai cambiamenti possono essere di due o tre volte superiori alle stime effettuate dalla Convenzione quadro dell’ONU sui mutamenti climatici (UNFCCC).

In uno studio pubblicato dall’Istituto internazionale per l’ambiente e lo sviluppo e l’Istituto Grantham per i cambiamenti climatici, si aggiunge che i costi saranno ancora maggiori quando l’intera gamma di impatti climatici sulle attività umane sarà considerata. La UNFCCC annualmente stima i costi globali di adattamento ai cambiamenti climatici, che quest’anno si prevedono da 40 a 170 miliardi di dollari, come il costo di circa tre Olimpiadi all’anno.

Ma gli autori del rapporto, tra cui il dottor Pam Berry dalla Environmental Change Institute della Oxford University, dicono che queste stime sono state prodotte troppo velocemente e non comprendono settori chiave come l’energia, la fabbricazione, il commercio al dettaglio, il settore minerario, del turismo e degli ecosistemi.

Volare non è ecologico, tasse aeree saranno più care

aerei ecologici fotoNovità in arrivo (ahìvoi non tanto piacevoli) per chi viaggia spesso in aereo. Molto probabilmente, infatti, le tasse dei voli saranno presto più costose per scoraggiare il traffico nei cieli e far diminuire le emissioni provocate dai velivoli. A prendere in seria considerazione questa ipotesi è il Comitato britannico per il cambiamento climatico, che ha esposto il suo piano contro l’inquinamento atmosferico  in una lettera indirizzata al governo.

Volare non è ecologico, o perlomeno non lo è con gli aerei che circolano oggi, ancora ben lontani dai prototipi green di cui pure si sta parlando già da tempo. E così niente di meglio che alzare le tasse in tempo di crisi per scoraggiare l’utilizzo degli aerei come mezzo di trasporto anche su tratte brevi che si possono compiere comodamente in treno (forse meno velocemente, ma se si contano le ore necessarie per raggiungere gli aereoporti, quasi sempre fuori città, il tempo perso al check-in, i ritardi, le pratiche, il ritiro del bagaglio, quando e se arriva senza intoppi… vedrete che il tempo si perde comunque).

Emissioni gas serra: quarto anno consecutivo di calo nell’Unione Europea

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Le emissioni di gas a effetto serra nell’Unione europea sono scese per il quarto anno consecutivo nel 2008, purtroppo però, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (CEA), è solo grazie alla recessione economica. L’indice di stima ufficiale EEA ha mostrato un calo dell’1,5% delle emissioni del 27 paesi dell’Unione Europea nel loro complesso ed un calo dell’1,3% dei suoi 15 membri più “anziani” e ricchi.

La stragrande maggioranza del calo delle emissioni nel 2008 è stato a causa della riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dai combustibili fossili nei settori dell’energia, dell’industria e dei trasporti

si legge sul comunicato dell’Agenzia europea per l’ambiente. Le riduzioni

riflettono gli effetti della recessione economica globale che ha avuto inizio nel 2008, la quale ha provocato una diminuzione della produzione industriale e ridotto il consumo energetico da parte dell’industria, e di conseguenza ridotto il trasporto di merci.

500 miliardi di dollari richiesti dalle Nazioni Unite per sviluppare l’energia pulita nei Paesi poveri

poveri scappano da inondazioni

E’ l’ennesima crepa nei colloqui sul riscaldamento del clima tra Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo: l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo del fabbisogno di energia delle nazioni ha rilevato che per consentire ai Paesi poveri di crescere senza contribuire pesantemente al cambiamento climatico bisogna finanziarli con almeno 500 miliardi di dollari l’anno (350 miliardi di euro).

Questo ovviamente complica le cose, specialmente per nazioni come la Cina e l’India, alle prese con le richieste da parte delle nazioni, come gli Stati Uniti, di assumere impegni vincolanti per tagliare le emissioni di gas a effetto serra. In precedenza, si era pensato che circa 100 miliardi di dollari l’anno sarebbero stati sufficienti per aiutare le nazioni nello sviluppo sostenibile, al fine di ridurre al minimo l’uso di energia proveniente da fonti inquinanti, come le centrali a carbone. Finora solo 21 miliardi dollari sono stati effettivamente raccolti nella lotta contro il cambiamento climatico. Le nazioni in via di sviluppo chiedono maggiore impegno finanziario per aiutarle a ridurre le emissioni.

Manifestazione di Greenpeace a Pechino: “-100 a Copenaghen” (fotogallery)

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Mancano solo 100 giorni alla fondamentale conferenza sul clima di Copenaghen, e in Cina sembra non importare a nessuno. Il più grande Paese del mondo, nonché il più inquinante, finora ha fatto tanti begli annunci sui propositi ecologici, ma a conti fatti, non si è prodigato così tanto. A questo punto non poteva che intervenire Greenpeace e manifestare, a modo suo, per porre l’accento su uno dei tanti problemi trascurati dal Governo cinese, la carenza d’acqua.

In Cina abbiamo posizionato cento statue di ghiaccio presso il “Tempio della Terra” a Pechino. Le sculture raffigurano dei bambini e simboleggiano il futuro incerto di oltre un miliardo di persone in Asia la cui sopravvivenza è minacciata dalla mancanza di risorse idriche. I cambiamenti climatici, infatti, stanno causando la perdita dei ghiacciai himalayani che riforniscono i fiumi Gange, Yangtze, Mekong, il Fiume Giallo e altri importanti bacini

spiegano dall’associazione ambientalista, che lancia l’allarme: di questo passo l’80% dei ghiacciai dell’Himalaya andranno perduto nell’arco dei prossimi 30 anni.

La Cina fissa al 2050 il limite per il taglio delle emissioni

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Finalmente anche la Cina ha deciso di aderire seriamente al taglio delle emissioni, e non soltanto a parole come ha fatto fino a questo momento. Il problema è che inizierà le operazioni per diminuire le proprie emissioni di carbonio entro il 2050. A stabilirlo è stato il maggiore consigliere sul cambiamento climatico cinese, Su Wei, uno dei politici più influenti, intervistato sabato scorso dal Financial Times. E’ una data molto remota, ma almeno si tratta della prima volta che la nazione ha fisstato un periodo di tempo.

In Cina le emissioni non continueranno ad aumentare dopo il 2050

ha detto Wei, direttore generale dell’Istituto nazionale per lo sviluppo e la riforma del dipartimento della Commissione sui cambiamenti climatici. La Cina attualmente è in concorrenza con gli Stati Uniti per il posto in cima alla classifica mondiale sulle nazioni che sono le maggiori produttrici di emissioni di gas a effetto serra, e per questo la sua posizione al riguardo sarà al centro dell’attenzione ancor prima dell’inizio dei negoziati sul clima che si terranno a dicembre a Copenaghen (Danimarca).

Ad ogni Paese il suo, ecco gli obiettivi climatici dei grandi della Terra

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Questa settimana abbiamo visto le nazioni del G8 impegnarsi a ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80% entro il 2050, il che significa che i Paesi più ricchi del mondo hanno fissato alcuni obiettivi climatici piuttosto rigidi. In teoria, almeno. Le azioni, naturalmente, sono più eloquenti delle parole. Quindi diamo un’occhiata proprio a queste azioni, quelle reali, che inquadrano i veri obiettivi delle più grandi economie del mondo, non soltanto quelle del g8.

Stati Uniti d’America: obiettivi climatici dubbi. Negli Usa attualmente, tutti hanno avuto modo di notare un controsenso. Di recente è passata la legge Waxman-Markey, la quale mira a ridurre le emissioni del 17% entro il 2020, per ritornare all’incirca ai livelli del 2005. La norma internazionale ampiamente accettata è che la riduzione miri a raggiungere i livelli del 1990. L’obiettivo è buono, ma difficile da raggiungere perché la riduzione delle emissioni dovrebbe come minimo raddoppiare per poter almeno avvicinarsi al limite finale dell’80%.

G8 de L’Aquila: cosa aspettarci sul clima

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I leader del G8 si riuniranno questa settimana a L’Aquila e sul tavolo, tra le altre questioni, ci saranno le proposte su cosa questi Paesi ricchi potranno fare per fermare i cambiamenti climatici. Siamo a circa 150 giorni dai negoziati internazionali sul clima di Copenaghen, ed è ben noto che, in assenza di leadership del G8, non vi sarà alcuna trattativa efficace. Ecco dunque cosa possiamo aspettarci dal meeting italiano.

La grande novità di questa settimana è che gli Stati Uniti sono ora disposti a firmare la proposta del G8 (finora sempre respinta da Bush) sull’obiettivo che porta alla limitazione dei famosi 2 gradi Celsius come aumento “autorizzato” della temperatura globale. Una cifra considerata dall’Unione europea e da molti scienziati del clima, come il punto di non ritorno.

L’estremo costo del non far niente: ecco cosa sarebbe accaduto se non avessimo preso provvedimenti per il buco dell’ozono

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Uno dei maggiori ostacoli per affrontare questioni di ampia portata, come il cambiamento climatico globale, è la nostra tendenza a concentrarci sui costi delle azioni correttive nel breve termine, piuttosto che su quelli a lungo termine del non fare nulla.

Alla radice del problema può esserci semplicemente la natura umana. Nulla di quanto contenuto nel nostro sviluppo evolutivo ci ha preparato a trattare con problemi a lungo termine del nostro fare, semplicemente perché la nostra capacità di creare tali problemi è abbastanza recente. Così è pure la nostra capacità di fare previsioni su ciò che è probabile che si verifichi in seguito ad un certo punto nel tempo. Spesso, è solo quando le condizioni diventato impossibili da ignorare (fiumi inquinati, l’acqua e l’aria che minacciano la nostra salute) che siamo finalmente spronati a pagare il prezzo dell’agire.

Una notevole eccezione è stata il protocollo di Montreal, che prevedeva il divieto di riduzione delle sostanze chimiche, firmato nel 1989, da 193 nazioni. Al centro del dibattito c’è stato l’uso di clorofluorocarburi (CFC) nei fluidi refrigeranti e propellenti per spray. Rilasciati nell’atmosfera, essi reagiscono con la luce ultravioletta nella stratosfera a distruggono lo strato di ozono che ci protegge dal sole.

Trattato di Copenaghen: la bozza della discussione

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Il fattore che ha più ostacolato il mondo verso una svolta ambientalista probabilmente è stato il considerare tutti i Paesi uguali. Molte nazioni, come gli Stati Uniti o i Paesi del Nord Europa hanno fatto tanto, ma per rispettare i parametri del Protocollo di Kyoto o di altri trattati internazionali, chiedevano che anche gli altri Paesi facessero la loro parte.

E’ proprio questo il punto di partenza della nuova carta su cui si discuterà a dicembre nel congresso di Copenaghen: analizzare la situazione industriale di ogni Paese e prendere gli adeguati provvedimenti per una svolta ecologica. In definitiva l’obiettivo principale è quello di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei due gradi. Per cause naturali infatti la temperatura della Terra è destinata ad alzarsi, e di certo l’uomo, per com’è la situazione adesso, non può sperare di fermare la colonnina di mercurio.

Ma siccome l’inquinamento, le attività umane e soprattutto la deforestazione stanno aumentando il tasso di riscaldamento, secondo molte stime se non dovessimo prendere provvedimenti in tempo, questi due gradi potrebbero anche diventare 3, 4 o anche di più. Le conseguenze le conosciamo benissimo: scioglimento dei ghiacciai, sollevamento delle acque, inaridimento e desertificazione. In pratica la distruzione di gran parte del Pianeta.

G8 di Copenaghen, i moniti degli scienziati e le risposte dei politici

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Mancano 6 mesi alla conferenza sul clima che cambierà il mondo. Il prossimo dicembre a Copenaghen dovrebbe esserci la riunione più importante dal punto di vista ambientale della storia del genere umano. Per arrivarci preparati l’Onu ha presentato una prima bozza di testo su cui discutere, da rendere noto ai politici delle varie nazioni, ma anche agli esperti che lo dovranno valutare e migliorare. Il tempo per farlo c’è, ma non è così tanto.

Questo documento servirà prima di tutto per renderci conto a che punto siamo con gli obiettivi del protocollo di Kyoto, il quale scadrà nel 2012. Poi bisognerà porre i nuovi parametri per prolungare il controllo anche dopo tale data, i quali andranno a coprire il periodo fino al 2020, e con alcune indicazioni per arrivare fino al 2050. Come facilmente prevedibile, molti uomini politici già hanno cominciato ad esprimere le proprie perplessità, se non a protestare, mentre al contrario gli scienziati dicono che questo testo non è sufficiente ad arginare il problema, e che anzi questo va affrontato con più severità. Andiamo a capire cosa gli scienziati chiedono.

G8: accordo sulla biodiversità

La terza giornata del g8 sull’ambiente si conclude con un impegno da parte di tutti i ministri dell’ambiente su uno dei punti fondamentali dell’ecologia attuale: la tutela della biodiversità. In chiusura del meeting di Siracusa si è trovato l’accordo, ratificato con una sorta di trattato, suddiviso in 24 punti, in cui è spiegato cosa si farà per tutelare le specie in via d’estinzione, gli animali che vivono nelle zone a rischio deforestazione, ecc.

In particolare le prime anticipazioni sul trattato, che pubblicheremo domani nella sua forma ufficiale, parlano di 4 maxi-categorie nelle quali rientrano gli accordi presi questa mattina. Esse sono il rapporto tra biodiversità e clima; biodiversità ed economia; biodiversità e ecosistemi; ed infine scienza e ricerca.