Balene grigie, oleodotto Exxon minaccia la sopravvivenza della specie

Il destino dei pochi esemplari di balena grigia rimasti al mondo è appeso ai risultati dei ricorsi inoltrati alle autorità russe e ai tribunali giudiziari, dopo il rifiuto, da parte del consorzio petrolifero Exxon a rinunciare alla costruzione di un nuovo oleodotto.
In realtà, i magnati dell’oro nero avrebbero dovuto semplicemente prendere in considerazione proposte alternative a quella di far passare gli impianti petroliferi attraverso una laguna cruciale per l’approvvigionamento alimentare delle balene grigie.

Il mese scorso il governo russo aveva deliberatamente e clamorosamente ignorato gli impatti sulla laguna di Piltun, approvando l’edificazione dell’oleodotto, che fa parte del progetto Sakhalin-1, portato avanti da colossi petroliferi come la Exxon e da altre compagnie petrolifere giapponesi, indiane e russe.
In tutto il mondo restano soltanto 130 esemplari di balena grigia occidentale, tra cui soltanto 20 sono femmine in grado di riprodursi e di preservare la specie.

Cambiamenti climatici favoriscono diffusione piante invasive

I mutamenti climatici in corso stanno sconvolgendo l’habitat di numerose specie viventi, primo tra tutti proprio l’uomo, causa della distruzione devastante che sta attraversando la Terra, sfruttata fino ai limiti del possibile.
Molti animali si sono già estinti, centinaia di altre specie occupano la lista rossa degli esseri viventi in pericolo. Anche molte piante, con il venire meno delle condizioni climatiche favorevoli alla peculiarità delle loro esigenze, sono scomparse del tutto o comunque sono fortemente minacciate.

Tuttavia il riscaldamento terrestre e gli sconvolgimenti negli equilibri ambientali, non sembrano essere nocivi a tutte le specie.
Gli squali, ad esempio, e gli altri grandi predatori marini navigano ora anche in acque antartiche e si inoltrano in ecosistemi marini prima a loro del tutto estranei. Sembra un po’ la rivincita dei cattivi, dal momento che a giovare dei cambiamenti climatici sono anche le piante esotiche invasive, che prendono sempre più terreno, a discapito delle specie autoctone indebolite dallo stravolgimento del loro habitat.

Il riscaldamento globale rischia di uccidere migliaia di indios

3 milioni di alpaca. A tanto ammontano gli esemplari di animale, a metà tra un lama e una pecora, che dà da mangiare a centinaia di migliaia di indios del Sudamerica, in larga parte residenti in Perù. Di anno in anno questi si stanno riducendo sempre di più, fino a correre il rischio di mettere in pericolo non solo la loro esistenza, ma anche quella delle popolazioni che grazie a loro sopravvivono.

La causa? Il riscaldamento globale, che sta sciogliendo i ghiacciai nei quali questi preziosissimi animali vivono, e che non fa arrivare sufficiente acqua alle immense distese di verde nelle quali gli alpaca pascolano.

Il fenomeno delle Brown Clouds, tredici metropoli sorvolate dall’inquinamento

L’allarme sulle nubi marroni che sovrastano numerose grandi città di tutto il mondo è stato lanciato da un nuovo rapporto dell’Unep, scatenando l’immediata preoccupazione dell’opinione pubblica mondiale sul futuro del Pianeta e sulle possibili conseguenze degli addensamenti di inquinanti sui centri urbani.
Si tratta di vere e proprie foschie di un marrone sporco dense talvolta più di un miglio che oscurano il cielo su vaste aree dell’Asia, del Medio Oriente, dell’Africa Meridionale e del bacino amazzonico.

Livelli elevati di sostanze tossiche nell’atmosfera sono stati segnalati su tredici metropoli: Bangkok, Pechino, Il Cairo, Dacca, Karachi, Calcutta, Lagos, Mumbai, Nuova Delhi, Seul, Shanghai, Shenzhen e Teheran.
La presenza delle Brown Clouds rischia di cambiare i modelli meteorologici globali e minaccia la salute e l’approviggionamento alimentare.

La Puglia si ribella al Governo e pone il tetto per l’inquinamento

Se non ci pensa lo Stato ci pensano le Regioni. Sfruttando la nuova autonomia di legiferare sull’ambiente, assegnata alle Regioni italiane, il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha deciso che non è più il tempo di aspettare che il Governo decida cosa fare in tema ambientale, ma preferisce agire, decretando un tetto per l’inquinamento che nessuna azienda pugliese potrà più superare.

Naturalmente subito sono sorte polemiche da parte del Governo. Per bocca della ministra Prestigiacomo (che dovrebbe essere Ministro dell’Ambiente), il Governo fa sapere che non c’è bisogno che la Puglia adotti una politica così rigida per fermare l’inquinamento, dato che fino al 2012 c’è tempo per trovare una soluzione.

Maldive rischiano di sparire a causa del riscaldamento globale

Le Maldive, paradiso di atolli situati nell’Oceano Indiano a sud-sudovest dell’India, rischiano di scomparire per sempre non solo dalle brochures delle agenzie di viaggio, ma dalla Terra.
Colpa ancora una volta del riscaldamento globale, che espone proprio questo arcipelago ad un rischio più elevato rispetto ad altre zone del globo, a causa della loro altezza media sul livello del mare, pari ad appena 1,5 metri.

Tra qualche decennio, le Maldive potrebbero essere completamente sommerse dall’innalzamento delle acque dell’Oceano Indiano, svanendo in fondo al mar.
E così, i circa 349.106 abitanti, non volendo fare la fine di Atlantide, stanno seriamente prendendo in considerazione l’idea di acquistare una nuova Patria, in cui trasferirsi in massa non appena le cose dovessero volgere al peggio.

Canada e Germania insieme a Obama contro il riscaldamento globale

Yes, we can. L’ormai famoso motto del neoeletto presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, infonde fiducia e ottimismo, anche negli altri Paesi, tranne forse nel nostro, come leggevo nei commenti rilasciati sul New York Times, relativamente alle polemiche sull’abbronzatura di Obama, la carineria di Berlusconi. Un lettore italiano ha sintetizzato in una sola frase, il nostro stato d’animo frustrato e imbavagliato: We can’t.

Ebbene, fortunatamente, nei Paesi civili, they can, si pensa già ad un’adesione ad un eventuale programma del partito democratico americano, che faccia fronte al fenomeno allarmante del riscaldamento globale.
Soprattutto nei Paesi i cui governi, a differenza del nostro, hanno ospitato Obama e parteggiato dichiaratamente per la sua vittoria, già prima che questa fosse certa e dichiarata (noi nel frattempo, mentre tutto il mondo pregava per l’elezione di Obama, facevamo costosi regali a Bush a spese dei contribuenti, rappresentati, bene o male, dal nostro illustre premier viso pallido, è una carineria anche la mia!).
A dichiarare la volontà di perseguire intenti comuni contro la crisi ambientale e l’annoso problema delle emissioni, in prima linea ci sono il Canada e la Germania.

Charcoal & Chalk, abiti maschili emissioni zero

Abbiamo spesso segnalato le iniziative a favore dell’ambiente lanciate da numerosi marchi e case di moda, al fine di ridurre l’impatto sulla Natura e le emissioni nell’intero processo di produzione di indumenti e accessori.
Dai materiali ecologici all’utilizzo di risorse rinnovabili al riciclaggio, la moda in oggi sembra coincidere con le ultime tendenze green. Oggi torniamo a parlare di eco-moda, rivolgendoci soprattutto agli uomini d’affari, ai manager e a chiunque per motivi professionali è vincolato ad indossare giacca e cravatta per recarsi al lavoro. E’ stato infatti ideato il primo abito maschile ad emissioni zero, l’ideale per chi vuole essere elegante e al tempo stesso contribuire a non inquinare la Terra.

Il merito di questa new entry nel campo della moda green è del designer britannico Austen Pickles, della Charcoal & Chalk.
Alla base della realizzazione di questi completi maschili il meccanismo della compensazione ambientale. Le emissioni prodotte durante il processo di fabbricazione e lavorazione dei materiali vengono infatti quantificate e “pareggiate” piantando alberi e fornendo aiuti economici per la preservazione degli habitat naturali e delle riserve protette.

Il diavolo della Tasmania rischia di finire…all’inferno

Sono diventati famosi grazie ad un cartone animato degli anni ’90. Il nome scientifico è Sarcophilus harrisii, ma è meglio conosciuto come diavolo orsino o meglio ancora “Diavolo della Tasmania“. Questo bellissimo animaletto australiano, rischia di far estinguere non solo la sua specie, ma tutto il suo genere, dato che rimane il suo unico rappresentante.

L’allarme lo sta lanciando uno zoologo australiano, Jeremy Austin, che sta studiando un modo per evitare questa tragedia, che secondo le previsioni potrebbe avvenire nei prossimi 20 anni. Ebbene, questo marsupiale, già scomparso dalla gran parte dell’Australia a causa della deforestazione, si è rintanato proprio nell’area che gli ha dato il nome, la Tasmania, da cui adesso rischia di essere sfrattato, e stavolta per sempre.

WWF: L’uomo sta distruggendo il mondo

Nel Living Planet Report 2008, presentato oggi dal WWF, si apprende una verità sconcertante: per far spazio all’uomo, stiamo distruggendo la natura. I dati portati dall’associazione sono sconcertanti: negli ultimi 35 anni la popolazione umana è quasi raddoppiata, quella animale è diminuita di un terzo e le foreste tropicali si sono dimezzate.

E’ questa la denuncia di un sistema che non funziona, e che gli uomini hanno fatto troppo spesso finta di non sapere. O di non voler vedere. Osservando 1686 specie diverse di animali, il WWF ha rilevato che la perdita dal 1970 ad oggi è stata di circa il 28% di biodiversità, mentre l’indice delle zone tropicali vede un ribasso del 51%, un’enormità.

WWF lancia allarme recessione ecologica

Stiamo divorando il nostro Pianeta. Questo il grido d’allarme lanciato dal WWF (World Wildlife Fund) nel Living Planet Report 2008, una relazione sull’impronta ecologica dell’uomo stilata in collaborazione con la Società Zoologica di Londra e il Global Footprint Network.
Quella in corso è una vera e propria recessione ecologica, che potrebbe portare l’uomo ad aver bisogno di un altro globo in cui vivere per mantenere gli stessi assurdi standard di consumi, sfruttamento, inquinamento, distruzione che ha attualmente.

Un altro mondo da distruggere, per intenderci. Seguendo l’andamento odierno, infatti, la Terra diventerebbe inutilizzabile, completamente sfiancata, stremata, vuota, sterile già a partire dal 2035.
Dall’ultimo rapporto stilato dal WWF, due anni fa, le cose sono precipitate.

Registrato preoccupante incremento del gas serra Nf3

Cresce sempre più l’allarme effetto serra, proporzionalmente all’aumento dei livelli di gas serra nell’atmosfera. In particolare, gli ultimi anni hanno fatto registrare un preoccupante innalzamento dei tassi di un super potente gas a effetto serra.
Si tratta del trifluoruro di azoto (Nf3), che ha quadruplicato la sua presenza nell’atmosfera rispetto ai dati raccolti nel 1980, come mostra chiaramente anche il grafico sopra.

Tra i gas serra il biossido di carbonio è sinora quello che ha avuto il maggiore incremento negli scorsi decenni. Fortunatamente gas ancora più pericolosi come il protossido di azoto (N2O) e il metano (CH4) non hanno riportato aumenti altrettanto preoccupanti, anche se proprio il metano potrebbe far registrare presto dei picchi degni di nota relativamente alle nuove tendenze delle attività umane.

Crisi economica? No, rivoluzione ecologica

Il tema di questa settimana, ormai s’era capito, è il dibattito tra chi è pro e chi è contro le regole ecologiche per salvare il pianeta. Un recente studio portato avanti da alcuni ricercatori inglesi, guidati da Angus McCrone, redattore capo alla London-based New Energy Finance Ltd., ha indicato le vie da seguire per uscire da questa fase di recessione economica, e la maggior parte di esse sono, guardacaso, ecologiche.

Lo studio si basa su dei semplici processi economici che si instaurerebbero se fossero adottate le misure giuste per tutelare l’ambiente, ridurre l’inquinamento atmosferico, e contemporaneamente far risparmiare centinaia di migliaia di aziende in tutto il mondo. Si tratta di processi molto elementari, alcuni già noti da decine di anni, ma che stranamente nessuno ha ancor preso in considerazione. Il primo di essi è la cosiddetta “Tax-credits“.

Stoccaggio del carbonio nelle zone umide, una soluzione ai cambiamenti climatici

Mentre l’incremento nella distruzione delle zone umide potrebbe scatenare un vero e proprio disastro ecologico, gli scienziati hanno scoperto che il ripristino di questi vulnerabili ecosistemi potrebbe rappresentare una soluzione valida ai cambiamenti climatici in corso attraverso la creazione di una rete mondiale di potenti pozzi di assorbimento del carbonio.

Si tratta di un progetto di ricerca alquanto ambizioso, lanciato dall’Us Geological Survey, i cui costi di realizzazione si aggirano intorno ai 12,3 milioni dollari. L’idea alla base di questo piano è quella di catturare e immagazzinare il carbonio nelle zone umide, come ad esempio paludi, acquitrini, torbiere, estuari. Il programma di attuazione è stato ufficialmente lanciato quest’estate (anche se gli scienziati ci lavoravano già da tempo) e, secondo le stime degli esperti, ha già fatto registrare i primi significativi risultati.