Disastro ambientale in Sardegna, una marea nera causata da un guasto meccanico (foto)

Le coste sarde di Porto Torres in queste ore hanno assunto un colorito molto preoccupante, un nero-petrolio rilevabile sia in mare che soprattutto a terra, dove enormi chiazze si stanno formando sopra e sotto la sabbia. Tutto questo lo si deve ad un

imprevedibile guasto meccanico nella linea di drenaggio del collettore manichette posizionato all’interno della banchina

dichiarano i responsabili di E. On. che stanno provvedendo alla ripulitura dell’area. Un disastro che comincia a delineare contorni misteriosi e decisamente preoccupanti. Ci sono molte cose che non quadrano. Prima di tutto l’allarme, lanciato 36 ore dopo la fuoriuscita del carburante dalla nave cisterna Esmeralda avvenuto martedì notte. Sembra evidente che i responsabili avessero sottovalutato il problema, tanto che il sindaco Beniamino Scarpa era stato tranquillizzato che non c’era nessun pericolo e la situazione era sotto controllo. Per sua stessa ammissione però soltanto il giorno dopo si è accorto che non era affatto così.

Golfo del Messico, l’oceano guarisce più in fretta del previsto

I ricercatori dell’Università della California di Santa Barbara e della Texas A & M University hanno definito i risultati dei loro studi “molto sorprendenti”, quando hanno misurato le concentrazioni di gas metano nel Golfo del Messico. Hanno infatti notato che i livelli sono tornati quasi normali solo pochi mesi dopo l’enorme rilascio di petrolio avvenuto in seguito all’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon.

I risultati dello studio, condotto da John Kessler e David Valentine, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Science. Essi mostrano che Madre Natura ha provveduto rapidamente alla rimozione di oltre 200.000 tonnellate di metano disciolto attraverso l’azione dei batteri che sono fioriti, consumando completamente il gas che era stato sprigionato dalla catastrofe.

La marea nera sta distruggendo i coralli giganti nel Golfo del Messico

Era il 20 aprile 2010 quando la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ha cominciato a sversare nelle acque del Golfo del Messico il petrolio dal pozzo Macondo, situato a oltre 1.500 metri di profondità.
La marea nera a distanza di mesi dal disastro, e dopo la chiusura della falla, torna a far parlare di sé. Dopo l’annuncio dei progetti per ristabilire la vita marina nelle acque del Golfo, come il 100-1000 partnership, la BP potrebbe essere responsabile della morìa dei coralli giganti che vivevano vicino al pozzo della piattaforma petrolifera.

Lo ha rilevato la spedizione scientifica a bordo della nave oceanografica Ronald H. Brown che ha analizzato i fondali vicino al pozzo Macondo. Come ha dichiarato Timothy Shank, uno dei ricercatori della Woods Hole Oceanographic Institution

I coralli giganti nelle vicinanze del pozzo sono coperti da una sostanza nera e o sono morti o stanno morendo. In qualche caso sono rimasti soltanto scheletri.

Marea nera, le ostriche riporteranno la vita nel Golfo del Messico

Si chiama 100-1000 partnership, e significa 100 miglia di nuove barriere di ostriche e 1.000 miglia di paludi costiere reimpiantate in Alabama. Si tratta del primo progetto nato per ristabilire una vita marina quanto più possibile simile a quella presente prima del disastro della BP, ideato attraverso una collaborazione tra organizzazioni no-profit, tra cui la Fondazione Costiera Alabama, Mobile Baykeeper, The Nature Conservancy e la Fondazione The Ocean.

A causa del danno arrecato al Golfo del Messico dalla fuoriuscita di petrolio dalla Deepwater Horizon, le scogliere, habitat delle ostriche, e le praterie di fanerogame hanno subìto il colpo di grazia dopo aver tentato di resistere per anni alle attività umane e alla pesca senza regole che già prima del 20 aprile scorso mettevano in pericolo vaste aree.

Marea nera, le conseguenze dei disperdenti chimici

All’inizio di questa estate, quando la marea nera era ancora in cima ai titoli dei giornali di tutto il mondo, le previsioni russe di una pioggia tossica conseguente alla fuoriuscita di petrolio sono state respinte dalla comunità scientifica. Ma forse i giudizi sono stati troppo affrettati. I rapporti effettuati più recentemente infatti fanno pensare che forse i russi avevano ragione.

Uno dei primi campanelli d’allarme che fanno pensare a qualche conseguenza sulle piogge acide arriva dalla Florida, dove una famiglia ha scoperto, non senza una certa preoccupazione, che nella loro piscina era presente dello Corexit, uno dei disperdenti chimici rilasciati nell’oceano. La famiglia Scheblers di Homosassa, Florida, ha cominciato a sospettare che qualcosa non andasse quando hanno notato che la loro piscina stava causando eruzioni cutanee, grave diarrea e urine molto scure. Questi sintomi sono certamente collegabili agli ingredienti contenuti nei disperdenti subacquei Corexit 9.527. Il 2-butossietanolo contenuto in esso può distruggere le cellule del sangue, causa un aspetto scuro nelle urine, e può causare irritazione gastrointestinale, la quale a sua volta può favorire la diarrea.

Marea nera, perché così tante trivellazioni nel Golfo del Messico?

L’esplosione della piattaforma petrolifera Mariner Energy nel Golfo del Messico è l’ultimo di una serie di disastri legati alle trivellazioni nell’area che si estende tra il Sud-Est degli Stati Uniti e lo stato messicano. Ma perché così tante società trivellano nel Golfo, e come mai c’è così tanto petrolio in quell’area? Il petrolio, la linfa vitale dell’economia Occidentale di oggi, si pensa provenga da resti di piccoli organismi che vivevano milioni di anni fa, ma la trasformazione chimica esatta per cui questo avviene rimane ancora qualcosa di misterioso.

I geologi tuttavia pensano che il passato antico del Golfo del Messico abbia creato la situazione del petrolio attuale.

E’ un luogo in cui le condizioni sono l’ideale per creare il tipo di proteo-materiali per petrolio e gas

ha dichiarato Harry Roberts, geologo marino del Louisiana State University a Baton Rouge, secondo cui la formazione geologica ha prima creato questa enorme riserva di petrolio e poi l’ha intrappolata per millenni.

Marea nera, nuova esplosione nel Golfo del Messico

Una piattaforma petrolifera è esplosa a seguito di un incendio nel Golfo del Messico ieri mattina (circa le 17:00 in Italia), costringendo i 13 lavoratori al momento presenti a tuffarsi in mare per salvarsi la vita. Ironia della sorte, si trattava della stessa area colpita appena qualche mese fa dalla famosa marea nera causata dalla BP, a 100 miglia di distanza dalla costa della Louisiana, una zona in cui, dicono gli esperti, si sono già verificati altri 3 disastri negli ultimi 10 anni. La Guardia Costiera ha subito sottolineato che non vi era alcun segno di perdita di petrolio nei pressi della piattaforma danneggiata in serata, ma purtroppo sono stati smentiti solo poche ore più tardi.

Secondo l’Associated Press, nonostante ciò che riferivano le fonti ufficiali, alcune macchie scure sono state avvistate intorno all’area. La società proprietaria della piattaforma, la Mariner Energy, ha detto che la struttura non era in attività al momento dell’incidente, e per questo non poteva esserci alcun tipo di fuoriuscita, ma intanto i dubbi restano.

Marea nera, gli effetti sulla salute

Il capitolo marea nera è tutt’altro che concluso: altre pagine a tinte fosche ci aspettano nei prossimi mesi, anni, decenni: il peggio deve ancora arrivare. Oggi parliamo delle conseguenze sulla salute, presentando i dati forniti da un recente rapporto diffuso dai ricercatori della UCSF (Università di San Francisco) pubblicato sulla rivista dell’Associazione dei medici americani. L’intento è di informare i medici e le comunità costiere sui rischi sanitari di vario genere ed entità, sia a breve che a lungo termine, derivanti dall’esposizione ai vapori tossici, alle palle di catrame ed ai frutti di mare contaminati.

Partiamo da quanto è già avvenuto in Louisiana in questi mesi: secondo i dati raccolti dal Dipartimento della Salute e dagli ospedali dello stato americano, più di 300 persone sono state ricoverate, perlopiù operatori addetti alla ripulitura dell’area del Golfo contaminata, che accusavano mal di testavertigini, nausea, dolore toracico, vomito, tosse e difficoltà respiratorie che potrebbero essere dovute all’esposizione agli agenti chimici.

Marea nera, parte la spedizione di Greenpeace, obiettivo indagare sui danni all’ecosistema

Marea nera non è più soltanto l’incubo innescato nel Golfo del Messico dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, quel maledetto 20 aprile scorso. Ormai è diventato un modo di dire a identificare eventi simili o anche catastrofi che non hanno a che vedere con il petrolio ma hanno la stessa portata immensa della dispersione provocata dalla BP. Gli incendi che stanno colpendo la Russia sono stati appellati la marea nera di Mosca, a testimoniare che il mondo è rimasto profondamente colpito da quella falla inarrestabile che seminava morte in streaming e che non se ne dimenticherà tanto facilmente.

Ma l’incubo nero è lontano dal considerarsi archiviato. Ce ne ricorderemo sicuramente a lungo perché se ne parlerà, anno dopo anno, testimoniando gli effetti sugli ecosistemi marini, sull’economia costiera, sulla catena alimentare, sul clima. Di sicuro non se ne dimenticherà Greenpeace che ha appena annunciato l’invio della nave rompighiaccio Arctic Sunrise, in missione, per tre mesi, nell’area del Golfo del Messico.

Marea nera, ecco che fine ha fatto il petrolio disperso

Alla notizia che Static Kill stesse funzionando e la marea nera fosse definitivamente bloccata, tutto il mondo ha tirato un sospiro di sollievo. Ma poi la BP è riuscita a rovinare anche questo momento trionfale con un’altra delle sue uscite fuori luogo. Secondo i portavoce della compagnia britannica,

tutto il petrolio è scomparso.

Stephen Colbert, comico e presentatore americano, ha detto (scherzando) che l’avrebbe trovato, ma pare che sia stato anticipato. Alla domanda “dove sono finiti i 150 milioni di galloni (oltre 568 milioni di litri) di petrolio scomparsi” risponde il New York Times con un grafico molto chiaro che troverete dopo il salto.

Marea nera, a Tony Hayward BP offre un “calcio nel sedere” da 14 milioni di euro

Immaginate di essere i responsabili del peggior disastro ambientale della storia americana. Immaginate che Henric Svanberg, uno dei vostri collaboratori, se la stia spassando su uno yacht in compagnia della sua amante mentre si lotta contro il tempo per arginare una fuoriuscita di petrolio che è costata la vita a 11 uomini, morti nell’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon.

Immaginate di aver messo in ginocchio l’economia incentrata su pesca e turismo di centinaia di località costiere del centro America. Immaginate di aver distrutto l’ecosistema di una delle oasi naturaliste (in Louisiana) di pellicani più  preziose al mondo. Immaginate di aver ucciso delfini, pesci, bruciato vive tartarughe perché i soccorsi degli animalisti intralcerebbero gli incendi controllati.

Marea nera, BP avvierà nuove perforazioni in Libia, in pieno Mediterraneo

Business must go on. Non importa se l’economia di intere popolazioni costiere è affondata nella marea nera, ancor meno contano i danni all’ecosistema e al patrimonio naturalistico dell’area del Golfo del Messico. Contano gli affari. E per nessuna cosa al mondo la BP desisterà dall’avviare le nuove perforazioni concordate già dal 2007 con la Libia.

Inizieranno tra poche settimane i lavori per cinque trivellazioni al largo delle coste libiche nel Golfo della Sirte, in pieno Mediterraneo. La BP perforerà ad una profondità di circa 5.700 piedi (1.700 metri), leggermente superiore a quella della piattaforma Deepwater Horizon che ha scatenato il disastro della marea nera.
Lo ha annunciato il Financial Times e dalla BP non hanno smentito, tutt’altro. Ne ha dato conferma lo stesso portavoce della compagnia, David Nicholas:

Non le abbiamo ancora calendarizzate. Ogni perforazione necessita di sei mesi o più.