Riscaldamento globale, il corpo degli animali cambia

cambiamento climaticoIl riscaldamento globale colpisce anche le dimensioni degli animali. Alcuni animali, a quanto pare, stanno dimagrendo, mentre altri stanno ingrassando. Tutta colpa degli sconvolgimenti degli ecosistemi terrestri, della scomparsa di alcune specie, e della proliferazione di altre, ma anche dell’aumento delle temperature e delle correnti che cambiano.

E’ probabile che questo cambio di regime alimentare sia una reazione conseguente all’aumento delle temperature a causa del cambiamento climatico globale – spiega il professor Yoram-Yom Tov del Dipartimento di Zoologia dell’Università di Tel Aviv, che ha misurato l’evoluzione delle dimensioni del corpo degli uccelli e degli animali nelle zone in cui il cambiamento climatico è più estremo ed evidente.

Il 38% del mondo è a rischio desertificazione

fiume a rischio desertificazione

Dei ricercatori spagnoli hanno misurato il degrado del suolo del pianeta utilizzando il Life Cycle Assessment (LCA), una metodologia scientifica che analizza l’impatto ambientale delle attività umane, e che ora per la prima volta include gli indicatori sulla desertificazione. I risultati mostrano che il 38% del mondo è costituito da zone aride a rischio di desertificazione.

Nonostante il miglioramento della LCA, è stata una debolezza metodologica, una mancanza di categorie di impatto ambientale per misurare l’effetto delle attività umane, come la coltivazione o pascolo sul terreno

ha spiegato Montserrat Núñez, autore e ricercatore presso l’Istituto di Agro Food Research and Technology (IRTA). La ricerca, pubblicata sull’ultimo numero della rivista International Journal of Life Cycle Assessment, è il primo studio al mondo ad includere gli effetti della desertificazione, basato sulla classificazione di 15 aree naturali o “eco-regioni” secondo il loro grado di aridità. Simultaneamente utilizzando il LCA e un sistema di informazione geografica (GIS), i ricercatori hanno dimostrato che otto di queste 15 aree possono essere classificate come a rischio di desertificazione, ed esse rappresentano il 38% della superficie terrestre del mondo.

Il riscaldamento globale mette a rischio le Olimpiadi invernali

vancouver-2010

Mentre la costa orientale degli Stati Uniti si trova ad affrontare condizioni estreme a causa della neve, la città che ospiterà le Olimpiadi invernali, Vancouver, si ritrova stranamente con un caldo mai visto. Dal momento che gli organizzatori si sono resi conto che la situazione meteo non cambiava, si sono dati da fare per garantire che vi sia abbastanza coltre bianca da supportare i giochi.

Il problema è che le temperature nel mese di gennaio sono state la più alte mai raggiunte, e la nevosità non è stata uniforme. Le condizioni sono così miti che alcuni residenti sono stati visti andare in giro con i pantaloni corti. Secondo un rapporto del The Guardian, dopo aver appreso che non sarebbe più caduta la neve in modo naturale prima dell’inizio dei Giochi, gli organizzatori hanno lavorato instancabilmente per procurarsela altri modi: gli elicotteri stanno portando neve ogni cinque minuti, i camion arrivano da lontano, mentre i cannoni sparaneve sono costantemente accesi.

I punti critici possono arrivare più velocemente del previsto

rottura ghiacciaio

Un nuovo studio dell’Università della California di Davis, spiega che è più difficile di quanto gli esperti potessero pensare prevedere quando improvvisi cambiamenti nei sistemi naturali della Terra si verificheranno. Si tratta di una scoperta preoccupante per gli scienziati che cercano di individuare i punti critici che potrebbero spingere il cambiamento climatico verso un disastro irreparabile globale.

Molti scienziati stanno cercando i segni che annunciano improvvisi cambiamenti nei sistemi naturali, nella speranza di prevenire tali modifiche, o migliorare la nostra preparazione per affrontarli. Il nostro nuovo studio ha scoperto, purtroppo, che variazioni di regime, con conseguenze potenzialmente di grandi dimensioni, possono avvenire senza preavviso, i sistemi possono andare in crisi precipitosamente. Questo significa che alcuni effetti del cambiamento climatico globale sugli ecosistemi possono essere visti solo una volta, con effetti drammatici

ha spiegato il teorico ecologista Alan Hastings. Lo studio attuale si concentra sui modelli ecologici, ma le sue conclusioni possono essere applicate anche ad altri sistemi complessi, in particolare quelli che coinvolgono le dinamiche umane come la raccolta degli stock ittici o dei mercati finanziari.

Tetti bianchi: servono davvero a combattere il riscaldamento globale?

tetti bianchi

Pitturare i tetti degli edifici di bianco dà la possibilità di raffreddare in modo significativo le città e mitigare alcuni degli effetti del riscaldamento globale, spiega un nuovo studio del NCAR (National Center for Atmospheric Research). L’idea a dir la verità l’aveva lanciata il Segretario Usa all’Energia Steven Chu, il quale diceva che i tetti bianchi possono essere uno strumento importante per aiutare la società ad adattarsi al cambiamento climatico. Ma il gruppo di studio, guidato da scienziati del NCAR, avverte che ci sono ancora molti ostacoli tra il concetto e l’utilizzo effettivo dei tetti bianchi per contrastare l’aumento delle temperature.

La nostra ricerca dimostra che i tetti bianchi, almeno in teoria, possono essere un metodo efficace per ridurre il calore urbano. Resta da vedere se è effettivamente possibile per le città dipingere i propri tetti di bianco, ma l’idea garantisce certamente ulteriori indagini

afferma Keith Oleson, autore principale dello studio. Le città sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici perché sono più calde rispetto alle zone rurali. Strade asfaltate, tetti di catrame e altre superfici artificiali assorbono il calore del sole, creando un effetto “isola di calore urbana”, che può aumentare le temperature in media di circa 1-3 gradi Celsius o più rispetto alle aree rurali. I tetti bianchi riflettono un po’ di calore verso lo spazio e rinfrescano le temperature.

Per i cambiamenti climatici 20 milioni di persone hanno perso la casa nel 2009

inondazione brasile

Nonostante in molti si ostinino ancora a ribadire che i cambiamenti climatici non esistono e che non hanno alcun effetto, c’è una conseguenza di tali mutamenti, che sta diventando sempre più consistente sotto i nostri occhi: i senza tetto. Ovviamente qui non si parla di coloro che, per scelta o per povertà, decidono di dormire su una panchina alla stazione. Qui si tratta di un problema riconosciuto anche dalle Nazioni Unite, di persone che perdono la propria casa a causa dei cambiamenti climatici.

Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, 20 milioni di persone sono rimaste senza casa lo scorso anno a causa di un’insorgenza improvvisa di calamità ambientali. Ma questo numero già enorme, potrebbe arrivare al miliardo nei prossimi 40 anni se gli effetti del cambiamento climatico prenderanno piede.

Le nazioni insulari del Pacifico, che si sono fatte sentire a Copenaghen, stanno già sperimentando gli effetti del cambiamento climatico. Tuvalu ha registrato un aumento 7 centimetri del livello del mare nei 13 anni precedenti al 2005. Se questo non sembra significativo, considerate che il punto più alto dell’isola, popolato da 10.000 persone, è a soli 3,7 metri sopra il livello del mare quando c’è l’altra marea.

Noi viviamo nella costante paura delle conseguenze negative del cambiamento climatico. La minaccia è reale e grave, e non vi è alcuna differenza con una forma lenta e insidiosa come il terrorismo contro di noi

spiega il primo ministro Saufatu Sopoanga.

Il riscaldamento globale causa i disastri naturali? Il dibattito rimane aperto

tornado

La commissione scientifica delle Nazioni Unite che si occupa di clima è al centro delle polemiche per aver collegato erroneamente il riscaldamento globale ad un aumento del numero e della gravità dei disastri naturali come uragani e inondazioni.

Il legame che è venuto fuori dopo aver rielaborato i documenti appare troppo debole. Gli autori stessi del rapporto successivamente hanno ritirato la richiesta perché credevano che le prove non erano stato abbastanza forti.

Ed Miliband, il ministro britannico dell’energia e del cambiamento climatico, ha suggerito che le inondazioni capitate negli anni scorsi, come quella in Bangladesh nel 2007, potrebbero essere collegate al riscaldamento globale. Barack Obama, il presidente degli Stati Uniti, ha detto lo scorso autunno:

Più forti tempeste e inondazioni minacciano ogni Continente.

Il mese scorso Gordon Brown, il Primo Ministro inglese, ha detto alla Camera dei Comuni che l’accordo finanziario a Copenaghen

deve affrontare la grande ingiustizia che coloro che sono colpiti prima e più duramente dal cambiamento climatico sono quelli che hanno fatto meno danni.

Le zone semi-aride assorbono più Co2 delle foreste

zona semi-arida

Le foreste, lo sappiamo, assorbono CO2 aiutandoci a ridurre il riscaldamento globale. Questi pozzi naturali di carbonio sono alla base dei programmi di compensazione, modelli climatici, e la maggior parte del futuro della politica ambientale. Anche le foreste assorbono e trattengono il calore, però, e la nuova ricerca suggerisce che, in almeno un tipo di terreno, questo effetto di riscaldamento è superiore ai benefici della cattura di carbonio.

Per 10 anni, il professor Dan Yakir è stato leader di un team di ricerca dell’Istituto Weizmann che ha registrato i dati da una stazione FluxNet nella Foresta Yatir, ai margini del deserto del Negev. La sua ricerca ha dimostrato che il bosco semi-arido di pini è un pozzo di carbonio particolarmente efficace, il quale supera la foresta europea di pini, la quale corrisponde alla media globale.

Quando controllava il bilancio energetico totale delle foreste, tuttavia, ha scoperto alcuni risultati sconvolgenti: gli alberi hanno assorbito una grande quantità di radiazioni solari, soprattutto se confrontati con i cespugli vicini e al deserto. Inoltre, il meccanismo di raffreddamento dei pini, in cui le foglie trasferiscono il calore al passaggio delle correnti d’aria, conduce ad una grande quantità di calore assorbito e conservato nella foresta.

L’accordo di Copenaghen rischia di saltare dopo solo un mese

meeting copenaghen

Appena un mese dopo che i leader del mondo hanno raggiunto un accordo provvisorio e non vincolante in occasione del vertice di Copenaghen, tale accordo sembra già a rischio di fallimento, ha spiegato il principale funzionario delle Nazioni Unite, Yvo de Boer. Di fronte ad una scadenza fissata al 31 gennaio, i principali Paesi non hanno ancora presentato i loro piani per la riduzione delle emissioni di gas serra, una delle principali disposizioni della convenzione, secondo il segretario esecutivo delle Nazioni Unite nella Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, che ha organizzato l’incontro.

Sono circa 20 (su 190) i Paesi hanno anche presentato le lettere dicendo di accettare i termini dell’accordo. E non c’è stato praticamente alcun progresso in merito, che illustra le condizioni di pagamento dei quasi 30 miliardi di dollari per il Fondo promesso a quei Paesi che dovrebbero essere più colpiti dal cambiamento climatico. Le questioni ancora irrisolte sono quanto ogni singolo Paese dovrà donare, dove i soldi andranno e chi supervisionerà il fondo.

Conclusa la decade più calda della storia

rilevazione temperature terrestri

Una nuova analisi sulla temperatura della superficie terrestre da parte degli scienziati della NASA ha rilevato che l’anno appena passato è stato il secondo più caldo dal 1880. Nell’emisfero meridionale invece, il 2009 è stato l’anno più caldo mai registrato. Anche se il 2008 è stato l’anno più freddo del decennio a causa di una forte influenza de La Nina che raffreddato l’Oceano Pacifico, il 2009 ha visto il ritorno ad un quasi-record delle temperature globali, secondo la nuova analisi da parte del NASA’s Goddard Institute for Space Studies (GISS) di New York.

L’anno scorso è stato di una piccola frazione di grado più freddo rispetto al 2005, il più caldo mai registrato, mettendo il 2009 in un legame virtuale con un gruppo di altri anni – 1998, 2002, 2003, 2006 e 2007 – i più caldi della storia.

C’è sempre interesse per il numero annuale di temperature e il posizionamento di un determinato anno, ma la classifica manca spesso il punto. C’è sostanziale variabilità di anno in anno nella temperatura globale causata dalle correnti tropicali El Nino-La Nina. Quando la temperatura media nell’arco di cinque o dieci anni riduce al minimo la variabilità, troviamo che il riscaldamento globale continua senza sosta

ha spiegato James Hansen, direttore GISS. Dal gennaio 2000 al dicembre 2009 è stato il decennio più caldo mai registrato. Guardando indietro fino al 1880, quando la moderna strumentazione scientifica si è resa disponibile per monitorare le temperature con precisione, una chiara tendenza al riscaldamento è presente, anche se c’è stato un livellamento tra il 1940 e il 1970.

L’orso polare “cacciato” dal suo habitat

orso polare bagnato

Uno studio a lungo termine, che mostra i cambiamenti negli habitat degli orsi polari in risposta ai cambiamenti delle condizioni del ghiaccio marino nella parte meridionale del Mare di Beaufort, in Alaska, ha mostrato che l’orso polare è stato letteralmente “sfrattato” dalla sua terra a causa dei mutamenti climatici.

Karyn Rode, un biologo che studia gli orsi polari con la US Fish and Wildlife Service ad Anchorage, in Alaska, afferma che i dati raccolti tra il 1979 e il 2005 mostrano che gli orsi polari sono stati avvistati sempre più spesso sulla terra e in mare aperto, e sempre meno frequentemente sul ghiaccio durante l’autunno. Questo significa che c’è una maggiore possibilità di interazione con gli umani. Il documento è stato pubblicato nel numero di dicembre di Arctic, la rivista dell’Istituto Artico del Nord America.

Riscaldamento globale: centinaia di milioni di profughi nel 2050

rifugiati

Dalla conferenza sul clima di Copenaghen è uscita una specie di accordo che non risolveva nulla, ma aveva come intenzione almeno quella di limitare i danni e cercare di far arrivare lo stato di salute della Terra il più sano possibile al 2050. Secondo gli ultimi dati dell’Onu, questo pare non sarà possibile.

Già oggi infatti sono tanti i segnali che qualcosa sta cambiando: mutamenti climatici estremi (proprio due settimane fa siamo passati in Italia in 24 ore dalla neve a +20/25 gradi), uragani e tempeste sempre più frequenti, desertificazione e innalzamento del livello dei mari. Ma a breve potranno esserci segnali ancora peggiori. Tutto questo aggravato da un fenomeno che già oggi è molto preoccupante: la migrazione di massa.

Una casa da sogno “mangiata” dal riscaldamento globale (gallery)

casa a picco 1

Questa bella casa su una scogliera con panorama mozzafiato che si affaccia sul mare può sembrare la casa dei sogni per molte persone. Purtroppo per i proprietari, è diventata la casa degli incubi. Tre di queste abitazioni sono già state demolite per ragioni di sicurezza perché la terra sta mancando proprio sotto i loro piedi (pardon, fondamenta), e questa inquadrata sarà la prossima a fare una brutta fine. Il motivo? La terra si sta sgretolando e la casa rischia di cadere, facendo un volo di 60 metri. La colpa di tutto questo ovviamente va al riscaldamento globale.

L’artista Kane Cunningham ha pagato 3.000 sterline per documentare la condanna a morte del bungalow, e per fare un film sulla sua lenta morte. Ha spiegato:

E’ il luogo perfetto per installazioni specifiche – un duro monito ai sogni perduti, il disastro finanziario e la minaccia del livello del mare. Tutte incapsulate nella recessione e nel riscaldamento globale.

L’artista utilizza il piccolo bungalow come studio, e dipinge anche il paesaggio che da esso osserva. Cunningham intende riprendere il luogo con le telecamere, così da poter documentare l’intero evento. Cercherà inoltre di smontare la casa e fare scultura di alcuni dei materiali. Questi potranno anche cadere in mare con la casa. Il suo lavoro è sempre stato di “comprendere il contesto sociale e politico del paesaggio”.

Ecco come reagirà l’Artico al cambiamento delle temperature

permafrost artico

Con il riscaldamento dell’Artico, il permafrost si degrada, potenzialmente portando a conseguenze di un aumento del deflusso delle acque sotterranee nella terra gelata, in cui era rimasta bloccata, sciogliendo tale ostacolo e facendo riprendere il flusso interrotto. Per studiare come i sistemi idrici sotterranei si evolveranno in seguito all’aumento delle temperature in superficie, V. F. Bense, ricercatore della School of Environmental Sciences, University of East Anglia, Norwich, UK, e colleghi, hanno sviluppato un modello per simulare una falda acquifera idealmente coperta da uno strato di permafrost.

Avviando la simulazione, sono stati presi in considerazione tre scenari possibili, a partire da tre temperature di superficie iniziale (-2, -1,5, e -1 gradi centigradi, o 28,4, 29,3 e 30,2 gradi Fahrenheit), corrispondenti a diversi spessori del permafrost. In ogni caso, i ricercatori sono arrivati ad osservare come, in seguito all’aumento della temperatura media della superficie stagionale di 3 gradi C (5,4 ° F) in più di 100 anni, la regione artica è in grado di reagire. I 3 gradi sono una media dei modelli di previsione per l’aumento della temperatura nell’Artico nel prossimo secolo, ed una stima tra le più ottimistiche per il resto del mondo.