Fotovoltaico, eolico e geotermia: gli Usa accelerano sulle nuove energie

energie-puliteGli Stati Uniti devono sviluppare nuovi metodi sia per produrre, sia per utilizzare le energie rinnovabili. Ad affermarlo è stato il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il quale ha di conseguenza proposto un incremento di $ 217 milioni dei fondi da destinare per sostenere i progetti di ricerca. L’America, Paese leader su tanti fronti, con l’avvento della nuova Amministrazione, dopo la lunga “regnanza” di George W. Bush, decisamente più “vicino” alle major del petrolio, non vuole lasciarsi scappare l’obiettivo di diventare su scala globale il leader per quel che riguarda le nuove energie, e chiaramente al Paese le risorse e le potenzialità in tal senso non mancano.

E così, a valere sull’anno fiscale 2011, che partirà nel prossimo mese di ottobre, Barack Obama ha altresì proposto un incremento di altri 108 milioni di dollari di stanziamenti da destinare alle energie rinnovabili nell’ambito del budget proposto per il Dipartimento dell’energia che ammonta a ben 28,4 miliardi di dollari, con un incremento del 6,8% rispetto all’anno fiscale 2010.

Stati Uniti: una centrale nucleare ogni 4 ha delle perdite di materiale radioattivo

Vermont Yankee Nuclear Power Plant

L’Associated Press ha recentemente riportato che almeno 27 dei 104 reattori nucleari in tutti gli Stati Uniti stanno perdendo i livelli potenzialmente pericolosi di trizio nelle acque sotterranee intorno agli impianti. La portata del problema è emersa dopo la recente scoperta di una perdita nello stabilimento di Vermont Yankee. Secondo l’AP, nuovi test hanno dimostrato che i livelli di trizio nei pozzi a Vernon, sono più di tre volte e mezzo sopra il livello di sicurezza federale.

Questo caso scoppia proprio quando il presidente Obama si ritrova a parlare di energia nucleare, invitando a “costruire una nuova generazione di centrali nucleari sicure e pulite”, e dopo lo stanziamento di oltre a 54,5 miliardi dollari destinati a progetti nucleari.

E’ arrivata la svolta ecologista: gli Usa studiano il modo di ridurre le emissioni del 28% al 2020

simbolo usa

Si è discusso per mesi del fatto che Obama non fosse riuscito a mantenere la promessa di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di oltre il 17%, rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020. Ma non tutto è perduto. Una volta liberatosi della riforma sanitaria, la quale ormai non assorbe più tutte le sue energie, Obama ha spiegato che tali limiti sono inconsistenti, e che farà pressioni sul Senato per cercare di aumentare le riduzioni dei gas inquinanti.

Così ha deciso di dare l’esempio, facendo per primo ciò che tutto il Governo federale spera riuscirà a fare a breve, e cioè ridurre le proprie emissioni in modo molto più convinto rispetto a prima. Ecco la promessa, riportata dalla Reuters:

Il presidente Barack Obama ha detto venerdì che il Governo Usa avrebbe ridotto le sue emissioni di gas a effetto serra del 28% entro il 2020 come risultato di un ordine esecutivo che ha rilasciato per dare l’esempio per combattere il cambiamento climatico.

Politica verde o no? Il primo anno di Obama alla Casa Bianca

Obama_Solare

Obama è entrato nello Studio Ovale su un piedistallo di aspettative impossibili, che lui stesso ha contribuito a costruire durante la campagna elettorale. Ora, molti americani si lamentano perché non tutte le promesse sono state mantenute, mentre alcune sì. Mente gli States rimangono divisi sulla riforma sanitaria e le altre politiche interne, cerchiamo di capire cosa il primo presidente nero ha fatto per l’ecologia.

1. Cancellare le leggi sul clima di Bush: Obama ha dato il via al suo mandato sul fronte ambientale con il ribaltamento o la sospensione di una serie di regole dell’amministrazione Bush riguardo alle specie in via di estinzione e la conservazione. Bush aveva approvato una serie di leggi che fecero infuriare gli ambientalisti, e Obama diede un chiaro segnale che avrebbe fatto andare le cose in modo diverso.

2. Stimolo all’industria dell’energia pulita: Il disegno di legge di stimolo industriale è stata la vera grande novità, e ha rappresentato il più grande investimento nelle tecnologie pulite mai fatto da un Governo degli Stati Uniti. Sono inoltre compresi i tagli alle tasse per il miglioramento energetico, l’efficienza e le iniziative volte a stimolare la crescita dei posti di lavoro verdi.

Dall’inizio della crisi Obama ha creato oltre 60 mila posti di lavoro nell’energia pulita

lavoro verde

E’ passato oltre un anno da quando è stata annunciata la crisi economica, e quasi 12 mesi dalle prime mosse dei vari Governi per uscirne. Mentre l’Italia ha scoperto come unico modo per rilanciare l’economia quello dell‘avere “ottimismo” e tagliare quanto più possibile, il Reinvestment Act (la legge stimolo degli Stati Uniti) ha fatto molto di più.

Secondo una relazione del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, è emerso che sono stati salvati o creati 2 milioni di posti di lavoro, in totale. 51.700 di questi sono dovuti a posti di lavoro nel settore dell’energia pulita, secondo USA Today.

Il giornale dice che

La Casa Bianca ha riferito mercoledì che i 5 miliardi di dollari spesi nei fondi per lo stimolo per promuovere l’energia pulita hanno creato 51.700 posti di lavoro a livello nazionale.

5 miliardi dollari sono una piccola parte del denaro stanziato per progetti di energia pulita e per la nascita di posti di lavoro, e ci sono ancora 75 miliardi di dollari già pronti per alimentare il settore.

L’aumento di domanda del pellet non si ferma, ma come fare per riconoscere quello sostenibile?

pellet

La domanda europea di pellet sta alimentando una crescita del settore in Nord America, secondo un articolo del New York Times. Il giornale britannico The Timber Trades Journal, ha spiegato che l’industria del Nord America del pellet di legno è cresciuta di “sei volte, passando da una capacità di poco più di un milione di tonnellate a più di sei milioni di tonnellate negli ultimi cinque anni”.

Il legname commerciale sta facendo la fortuna in special modo del Sud degli Stati Uniti, con i suoi boschi abbondanti, destinato a diventare il leader del pellet in Nord America. Secondo gli esperti, la biomassa detta pasta di legno di pino sarà convertita in pellet di legno da utilizzare come combustibile in Europa.

Ad aiutare l’espansione di questo segmento di mercato non è soltanto la domanda crescente in Europa, ma anche la politica di Obama che sta finanziando le aziende che producono pellet, creando così nuovi posti di lavoro per uscire dalla crisi. Ma siamo sicuri che tutto il pellet sia sostenibile?

Obama finanzia con 2,3 miliardi di dollari il settore delle rinnovabili

obama energia

Non avrà fatto molto durante il congresso di Copenaghen, ma almeno in patria Barack Obama fa la voce grossa per quanto riguarda le energie rinnovabili. Il presidente americano ha appena annunciato l’assegnazione di 2,3 miliardi di dollari per il Recovery Act Advanced Energy Manufacturing Tax Credits per i progetti di produzione di energia pulita negli Stati Uniti.

La Casa Bianca ha detto in un comunicato che 183 progetti in 43 Stati membri dovranno creare decine di migliaia di posti di lavoro di alta qualità ed energia pulita a livello nazionale, tra cui l’energia del vento solare, impianti più efficienti e le tecnologie per la gestione dell’energia.

Costruire un settore solido per l’energia pulita è il modo in cui creeremo i posti di lavoro del futuro. La legge di ripristino dei premi annunciata oggi contribuirà a colmare il gap di energia pulita che è cresciuto tra l’America e le altre nazioni, mentre creerà dei posti di lavoro, ridurrà le nostre emissioni di carbonio ed aumenterà la nostra sicurezza energetica

ha detto il presidente Obama.

Summit di Copenaghen: riassunto del dodicesimo ed ultimo giorno

riunione capi di stato copenaghen

Il summit di Copenaghen si è concluso ieri, in tarda notte, anche se a livello ufficiale praticamente i giochi si sono conclusi alle prime ore dell’alba. Il risultato per alcuni (specialmente Cina e Stati Uniti) è una vittoria risicata, per altri (Paesi insulari e poveri in generale) è stata una cocente sconfitta, ma l’impressione generale è che si sia trattato di un pareggio che rimanda tutto, per usare una terminologia calcistica, al “match di ritorno” che si terrà da qui a un anno.

Con l’arrivo di Barack Obama nella notte del 17 sembrava che si dovesse trovare un accordo finale, ed infatti una sorte di accordo è stato trovato, ma di certo non quello che scienziati, ambientalisti e Paesi in via di sviluppo si aspettavano. Obama ha subito dichiarato che ci saremmo dovuti accontentare di un accordo, anche se imperfetto, ma sembra che quello trovato sia completamente sbagliato.

Il punto più importante, quello che salta all’occhio, è che non ci sono vincoli. Non si può parlare dunque di trattato vincolante (questo, se tutto va bene, sarà firmato tra un anno), ma in un certo senso di quello che diceva il delegato cinese due giorni fa, e cioè di un semplice “accordo politico di qualche tipo“. Le uniche cifre che sono state fatte sono quelle del massimo di incremento della temperatura media globale, fissata a 2 gradi centigradi, e gli aiuti ai Paesi poveri. Ma se sul fondo l’accordo può anche andar bene (10 miliardi entro il 2012, 50 entro il 2015 e 100 miliardi entro il 2020), quello sull’incremento delle temperature non va bene affatto. La maggior parte degli scienziati concordano col dire che, per com’è adesso la situazione delle emissioni, se poniamo il limite ai 2 gradi, con molta probabilità si arriverà ad aumentare le temperature di 3-3,5 gradi. Ciò che i Paesi insulari chiedevano, per evitare di essere inondati dall’aumento del livello degli oceani, era che le temperature si sarebbero dovute alzare di al massimo 1,5 gradi.

Summit di Copenaghen: riassunto dell’undicesimo giorno

obama a copenaghen

Il penultimo giorno del summit di Copenaghen è stato abbastanza piatto. Si può dire tranquillamente che non è successo nulla, fino praticamente a tarda sera. Se infatti durante tutta la giornata continuava a serpeggiare il malumore tra i negoziatori a causa delle parole dei delegati cinesi che avevano parlato di “accordo impossibile da raggiungere“, una prima avvisaglia di qualcosa che poteva cambiare la si è avuta nel primo pomeriggio, quando ha preso la parola Hillary Clinton.

Il segretario di Stato americano ha reso noto che il suo Paese era disponibile a legarsi ad un accordo vincolante, prima volta nella storia degli Stati Uniti, ma soprattutto a partecipare al fondo per i Paesi poveri di 100 miliardi l’anno, senza però dare cifre precise. Un’apertura che ha fatto ben sperare, e che ha permesso di far partire Barack Obama, arrivato durante la notte nella capitale danese, con un certo vantaggio.

Ed infatti appena sbarcato, è stato aperto un “summit notturno” che ha riacceso le speranze. L’incontro con i primi capi di Stato è andato bene, tanto che si parla addirittura di una prima bozza di accordo. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, visto che vanno presi in considerazione un po’ tutti i delegati dei grandi Paesi mondiali, ma si parla di una riduzione delle emissioni tale da poter rimanere entro i 2 gradi di riscaldamento e di un fondo da destinare ai Paesi poveri che sarà di 10 miliardi di dollari l’anno tra il 2010 e il 2012; 50 miliardi tra il 2013 ed il 2015, e 100 miliardi tra 2016 e 2020. Il fondo sarà composto in parte da finanziamenti diretti di Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia, ed in parte sarà autofinanziato attraverso meccanismi di cap and trade ed altri sistemi economici.

Summit di Copenaghen: riassunto del decimo giorno

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Più ci avviciniamo alla fine e più difficile sembra che si trovi un accordo vincolante per ridurre le emissioni e risolvere gli altri problemi ambientali. Mentre il presidente della Commissione Europea sul clima Josè Barroso ha spiegato che di solito questi accordi si trovano all’ultimo minuto, e dunque non bisogna disperare finché il vertice non è concluso, a porre un grosso ostacolo ai negoziati ci si mette oggi la Cina.

Il colosso asiatico, che nei giorni scorsi aveva fatto da mediatore tra Paesi poveri e ricchi, ha reso noto di avere ben poche speranze che si possa trovare un accordo, e così l’unico risultato utile che si può ottenere al momento è

una breve dichiarazione politica di qualche tipo.

Di certo non quello che gli attivisti e gli scienziati si aspettavano alla vigilia. Una “dichiarazione politica” si potrebbe tradurre in una semplice promessa, ciò che i politici sono molto bravi a fare, di ridurre “un giorno” le emissioni. Questo significherebbe doversi aggiornare tra un anno al prossimo COP16 nel tentativo di trovare una soluzione condivisa, dopo aver cercato la soluzione in patria, ma questa pare essere davvero un’àncora di salvezza per un vertice che sta letteralmente affondando.

Summit di Copenaghen: riassunto del nono giorno

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Sentimenti contrastanti si incrociano nella capitale danese in questi giorni. Dagli Stati Uniti Barack Obama si dice ottimista ed il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, è aperta a qualsiasi colloquio per non far fallire il congresso. Chi invece è arrivato a Copenaghen non si esprime negli stessi termini. Il Primo Ministro britannico, Gordon Brown, ha detto di essere quasi sicuro che i negoziati falliranno. Sarà difficile infatti trovare un compromesso nell’arco di 3 giorni che faccia avvicinare due parti così distanti come i Paesi ricchi e quelli poveri. A lui fa eco il presidente Australiano Kevin Rudd, tanto che, vista la cattiva aria che tirava, Al Gore ha tentato di salvare il salvabile, e ha chiesto un nuovo incontro nel prossimo luglio per sviluppare i punti ancora lasciati irrisolti in questo vertice. Angela Merkel invece si è detta “nervosa” in quanto spera di riuscire a trovare un accordo entro venerdì, ma lo vede molto difficile.

E mentre anche il Papa lancia un appello da Roma affinché si trovi un accordo che non distrugga la Terra, nella giornata di ieri si è parlato principalmente di questo, e cioè della salvezza delle foreste mondiali. Incalzato dal portabandiera della lotta alla deforestazione, il Principe Carlo d’Inghilterra, il dibattito si è concentrato non tanto sulle sanzioni per chi distrugge le foreste, quanto sui premi da assegnare a chi le foreste le protegge.

Infatti adesso siamo di fronte ad un paradosso per cui conviene di più abbattere le foreste e poi ripiantarle, che non lasciarle intatte. Oggi infatti si ottengono diversi vantaggi, prima di tutto sul famoso commercio dei crediti ad inquinare, ma anche economici, e perfino simbolici, visto che ci sono alcuni Paesi che sono stati premiati per aver ripiantato gli alberi tagliati, mentre altri che li hanno lasciati intatti non sono stati nemmeno presi in considerazione. E così è stato discusso un metodo per proteggere il mondo dalla deforestazione preventiva, e cioè va bene ripiantare gli alberi tagliati, ma è meglio non tagliarli affatto.

Climate REDI: il nuovo programma ambientalista di Obama per i Paesi poveri

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Può sembrare una iniziativa relativamente piccola rispetto agli investimenti precedenti dell’amministrazione Obama nei programmi di energia rinnovabile e nello sviluppo, ma la creazione di un programma chiamato “Climate REDI” è un’altra tappa importante nella crescita del neonato mondo dell’economia dell’energia pulita. Sulle fonti rinnovabili e l’efficienza di distribuzione lancia l’iniziativa oggi il ministro dell’Energia Stephen Chu: un totale di 350 milioni di dollari di fondi sarà destinato ad accelerare lo sviluppo delle tecnologie pulito e nella distribuzione in tutto il mondo.

In base ai progressi climatici, gli Stati Uniti contribuiranno con 85 milioni dollari per un piatto a livello mondiale di 350 milioni (tra gli altri Paesi aderenti c’è anche l’Italia) per contribuire ad accelerare la crescita e la diffusione di tecnologie pulite e progetti rinnovabili. Il finanziamento sarà orientato su 4 programmi principali che vedremo dopo il salto.

Da Oslo Obama lancia un segnale forte a Copenaghen

discorso obama nobel

Barack Obama oggi è a Oslo per ricevere il suo premio Nobel per la Pace. All’interno del suo discorso di matrice politica, ha colto l’occasione per parlare dei cambiamenti climatici. Ha annotato che per lui la “pace giusta” nel mondo si potrà ottenere solo con l’azione sul clima. Ecco l’estratto del suo discorso che è una frecciata al congresso di Copenaghen:

il mondo deve unirsi per affrontare il cambiamento climatico. Vi è una piccola sfida scientifica secondo cui, se non facciamo niente, ci troveremo ad affrontare siccità, carestia e lo spostamento di massa che porteranno a conflitti per decenni. Per questo motivo, non sono solo gli scienziati e gli attivisti ad invitare ad un’azione rapida e forte, sono i leader militari nel mio Paese e negli altri che devono capire che la nostra sicurezza comune è in bilico.

Parole perfettamente condivisibili, che sono la prova che Obama non avrà paura di fare appello ai suoi colleghi americani per risolvere il problema del clima. Ma Obama non si è fermato qui, e nel corso di una breve conferenza stampa ha aggiunto ulteriori particolari che danno una speranza di successo al summit.

Summit di Copenaghen: riassunto del terzo giorno

Xie Zhenhua copenhagen

Il congresso di Copenaghen entra nel vivo, ma purtroppo non tanto dei trattati, quanto delle polemiche. Un documento circolato ieri in via non ufficiale ha fatto imbestialire i rappresentanti dei Paesi poveri, che sono arrivati a minacciare di far saltare ogni tipo di accordo e abbandonare i lavori. Questo foglio, che passava di mano in mano tra i delegati europei, andava contro ogni buon proposito della vigilia.

Il primo punto che ha fatto arrabbiare i rappresentanti del G77 riguarda la gestione dell’eventuale nuovo protocollo, il quale non sarebbe più stato gestito dalle Nazioni Unite, bensì dai Paesi industrializzati. La bozza prevedeva inoltre emissioni doppie per i Paesi ricchi rispetto ai poveri ed il fondo per l’adeguamento alle tecnologie pulite non sarebbe più stato gestito dall’Onu, ma dalla Banca Mondiale. Queste tre proposte hanno letteralmente rischiato di far saltare il vertice. Per fortuna, in extremis, l’Europa si è salvata, grazie ad un intervento del responsabile del clima dell’Onu, Yvo De Boer, il quale ha spiegato che non si trattava della proposta definitiva, ma solo di una bozza stilata prima dell’inizio del vertice, e che era stata affidata ai giornalisti solo a titolo “informativo”. Ovviamente non sarà più riproposta, ma intanto la tensione resta.