Nucleare in Italia, Greenpeace punta il dito contro le banche che guadagnano sull’atomo

di Redazione 2

banche nucleari
Quando si chiedono finanziamenti alle banche per progetti sulle rinnovabili, a volte capita di sentirsi rispondere “non ci sono soldi”, oppure “aspettiamo che passi la crisi”. Ma dal 2000 al 2009, dunque anche nel pieno della crisi economica, le banche di tutto il mondo hanno finanziato l’industria del nucleare per la folle cifra di 175 miliardi di euro, di cui oltre la metà, 92 miliardi, pagati dalle prime 10 (BNP, Barclays, Citi, Société Générale, Crédit Agricole/Calyon, Royal Bank of Scotland, Deutsche Bank, HSBC, JP Morgan e Bank of China).

Si tratta di investimenti considerati sicuri dalle banche, dato che poi a ripagarli saranno gli Stati, e di conseguenza i cittadini, i quali sicuramente non corrono il rischio di insolvenza che hanno i privati che vogliono investire su sole, vento, acqua e geotermia. Il sito internet nuclearbanks.org ha pubblicato un rapporto, ripreso poi a livello mondiale da Greenpeace, in cui svela quali sono le banche che ci guadagnano in questo investimento, e fa capire come mai ora potremmo ritrovarci le centrali anche in Italia.

Secondo il rapporto di nuclearbanks, dove sono classificate le 100 banche mondiali che hanno investito nell’atomo, alcune tra le più attive sono proprio italiane, ed ecco spiegato il perché di tanta sollecitudine da parte dei nostri governanti per un ritorno al nucleare in tempi brevi.

La banca che più di tutte investe nella forma di energia più pericolosa al mondo è la francese BNP Paribas (che in Italia agisce tramite la BNL), che negli ultimi 9 anni ha investito la bellezza di 13 miliardi e mezzo di euro. A seguire la britannica Barclays e l’americana Citi con 11,4 miliardi ciascuna. Le altre italiane che spiccano sono la Unicredit (2,3) e Intesa San Paolo (1) alla 23 e 28a posizione.

Secondo Greenpeace, le transazioni individuate legate a progetti nucleari comprendono: emissione di obbligazioni e azioni, acquisto di obbligazioni e quote azionarie, progetti di finanziamento, crediti “revolving” e altri prodotti finanziari.

Se solo una piccola parte di queste enormi cifre prendesse dei canali più verdi, dormiremmo tutti sonni più tranquilli.

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