Marea nera, il petrolio è entrato nella catena alimentare

La recente scoperta di tracce di petrolio nelle larve di granchio blu ha confermato la previsione degli esperti a seguito delle notizie disastrose per l’ecosistema del Golfo. E’ la prova che il petrolio fuoriuscito dall’esplosione della Deepwater Horizon ha già iniziato ad inserirsi nella catena alimentare, dove potrebbe essere fatale per gli animali che lo ingeriscono.

L’AP riporta che gli scienziati che hanno effettuato la scoperta del petrolio nelle larve di granchio blu (un gruppo di frutti di mare del Golfo, che è anche un indicatore strettamente sotto osservazione per i segni della contaminazione) hanno potuto confermare alcune delle loro peggiori paure. Vale a dire, che la fuoriuscita avrà un impatto sull’ecosistema del Golfo per gli anni a venire.

Agricoltura sostenibile, in arrivo il calcolatore di emissioni gas serra

Nel Journal of Natural Resources and Life Science Education si legge che alcuni ricercatori americani hanno ideato un calcolatore di emissioni gas serra, rivolto agli agricoltori che vogliono aiutare l’ambiente e abbattere le emissioni dei gas nocivi per l’atmosfera terrestre, senza danneggiare la loro produzione.

Ricordiamo che l’agricoltura da sola è responsabile del 33% di emissioni gas serra. Il dato era stato reso note il 29 giugno nel convegno a Milano, Alimentazione e Ambiente; sano per te, sostenibile per il Pianeta.

Tartarughe Caretta- caretta, oggi è il loro giorno

Oggi 10 esemplari di tartarughe Caretta caretta saranno liberate nel Mediterraneo, tra le regioni Sicilia, Sardegna, Toscana, Marche e Basilicata. Qualcuno ha già ribattezzato il 13 agosto 2010 il Tarta- day, la giornata delle tartarughe!

L’iniziativa è stata lanciata dal Centro turistico studentesco e giovanile (Cts), da anni impegnato nel recupero e nella tutela delle tartarughe marine, con i Centri Tartanet.

Marea nera, parte la spedizione di Greenpeace, obiettivo indagare sui danni all’ecosistema

Marea nera non è più soltanto l’incubo innescato nel Golfo del Messico dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, quel maledetto 20 aprile scorso. Ormai è diventato un modo di dire a identificare eventi simili o anche catastrofi che non hanno a che vedere con il petrolio ma hanno la stessa portata immensa della dispersione provocata dalla BP. Gli incendi che stanno colpendo la Russia sono stati appellati la marea nera di Mosca, a testimoniare che il mondo è rimasto profondamente colpito da quella falla inarrestabile che seminava morte in streaming e che non se ne dimenticherà tanto facilmente.

Ma l’incubo nero è lontano dal considerarsi archiviato. Ce ne ricorderemo sicuramente a lungo perché se ne parlerà, anno dopo anno, testimoniando gli effetti sugli ecosistemi marini, sull’economia costiera, sulla catena alimentare, sul clima. Di sicuro non se ne dimenticherà Greenpeace che ha appena annunciato l’invio della nave rompighiaccio Arctic Sunrise, in missione, per tre mesi, nell’area del Golfo del Messico.

E’ possibile sopravvivere al riscaldamento globale? L’evoluzione lo permette ai pesci

Se stiamo tanto a preoccuparci che il riscaldamento globale sopra i 2 gradi centigradi sia pericoloso per la sopravvivenza umana, non è detto che questo avverrà veramente. Non perché non ci siano pericoli, ma perché c’è la possibilità di un’evoluzione per adattarsi all’ambiente. Se negli esseri umani quest’evoluzione è stata osservata nell’arco di migliaia di anni, per i pesci è stata molto più rapida.

I ricercatori della University of British Columbia hanno osservato una delle più veloci risposte evolutive mai registrate nelle popolazioni selvatiche. In meno di tre anni, il pesce spinarello ha sviluppato una tolleranza per la temperatura dell’acqua di 2,5 gradi centigradi inferiore rispetto ai suoi antenati. Lo studio, pubblicato nell’ultimo numero di Proceedings of the Royal Society B, fornisce alcune prime prove sperimentali che l’evoluzione potrebbe aiutare le popolazioni a sopravvivere agli effetti dei cambiamenti climatici.

Myanmar, aperto parco per la protezione delle specie in via d’estinzione

Una buona notizia arriva dal Myanmar, la ex Birmania. Il Paese asiatico, che è controllato da un brutale regime militare, ha mostrato più sensibilità verso gli animali che per gli esseri umani, ed ha così deciso di creare il più grande santuario di tigri del mondo. Con soli 3.000 esemplari rimasti in natura, le tigri sono tra gli animali più minacciati dall’estinzione del pianeta.

Questa nuova riserva in Birmania si estende per 8.500 miglia quadrate (oltre 13.600 km quadrati o 1.300 ettari), e proteggerà almeno 100 tigri. Secondo Panthera, il gruppo responsabile di esercitare pressioni sul governo del Myanmar per avviare il programma per la conservazione, gli sforzi per aprire il parco sono iniziati anni fa:

Nel 2004 il Governo del Myanmar ha designato 2.500 miglia quadrate della Valle Hukaung come santuario della natura inviolata, per la prima spedizione biologica mai effettuata nella zona dal 1999, diretta dal Dr. Alan Rabinowitz.

Rabinowitz è il l’amministratore delegato di Panthera, che è riuscita ora ad allargare ancora di più il territorio, facendolo diventare simile ad una riserva della fauna selvatica.

Incendi in Russia, le conseguenze sul resto del mondo

La siccità e la peggiore ondata di caldo che la Russia ha visto negli ultimi 130 anni hanno scatenato una devastante diffusione di incendi in tutta la nazione, e soprattutto nelle regioni occidentali e centrali del Paese. Secondo le relazioni del Ministero russo per le Situazioni di Emergenza, a partire dal 6 Agosto scorso, circa 558 incendi stanno devastando la nazione.

I roghi hanno ucciso almeno 52 persone, distrutto circa 2.000 case e carbonizzato più di 1.796 chilometri quadrati. La capitale della Russia, Mosca, è attualmente ricoperta da una fitta cappa di smog, che ha ridotto le attività e perturbato il traffico aereo. Secondo l’Associated Press, i livelli di inquinamento da monossido di carbonio a Mosca sono i più elevati di tutti i tempi, quattro volte superiori al normale.

Marea nera in India, due navi si scontrano ed il petrolio finisce in mare

Ormai sembra diventata una moda, o forse stiamo più attenti rispetto a prima a questi fenomeni, ma pare non ci debba mai essere fine allo sversamento di petrolio negli oceani di tutto il mondo. Dopo il disastro della BP, quello della Cina e i tanti altri più o meno grandi che si sono susseguiti negli ultimi mesi, se ne aggiunge uno nuovo al largo delle coste indiane.

Due navi, una portacontainer e una petroliera, si sono scontrate a tre chilometri dal porto di Mumbai. La collisione ha portato la petroliera ad inclinarsi pericolosamente, ed ovviamente questa posizione innaturale ha permesso al petrolio contenuto di uscire e riversarsi in mare. Secondo le prime stime si stanno così perdendo 5 tonnellate di carburante ogni ora.

Dalla Groenlandia si stacca un ghiacciaio più grande dell’isola d’Elba

Già due anni fa un pezzo del ghiacciaio Petermann, in Groenlandia, si staccò e si diresse verso le spiagge americane, mandando nel panico non solo gli ambientalisti, ma anche le aziende che si occupano di trasporto marittimo. La situazione in due anni è peggiorata, ed ora a staccarsi è tutto il ghiacciaio, un cubetto di 260 km quadrati, di poco più grande dell’isola d’Elba e circa 4 volte la grandezza di Manhattan.

Un ricercatore dell’Università del Delaware, Andreas Muenchow, professore associato di scienze oceaniche fisica e ingegneria presso la facoltà di Earth, Ocean and Environment, sta monitorando il ghiacciaio Petermann da anni ormai, ed ha spiegato, in un comunicato stampa, che si tratta del blocco di ghiaccio più grande mai staccato dal 1962.

Concerto nella centrale a carbone di Cerano, proteste contro Patty Pravo e Irene Grandi

Si tingono di nero Patty Pravo e Irene Grandi, attirandosi le ire degli ambientalisti e di colleghi più attenti al problema dell’inquinamento, come i Sud Sound System, in campo con una vera e propria protesta contro il concerto gratuito delle due cantanti italiane nella centrale a carbone Federico II di Cerano, a Brindisi, svoltosi ieri sera, tra mille polemiche, a suon di fischi, vuvuzelas (in vendita a 7 euro in uno stand dedicato per chi ne fosse sprovvisto), trombette e tamburelli.

Un concerto definito elettrizzante e che ha visto schierati su due fronti opposti ambientalisti e artisti. A protestare almeno 200 persone definite “ecoterroristi che disprezzano chi lavora” dal comitato dei lavoratori Enel della centrale. Dalla parte dei cosiddetti ecoterroristi c’era pure il senatore dell’Italia dei Valori Giuseppe Caforio. Sotto il palco 1200 fan delle cantanti che hanno comunque potuto godersi lo spettacolo gratuito all’interno della centrale, scortati all’ingresso dalle forze dell’ordine.

Ripristino zone umide, il miglior modo per assorbire CO2

Il ripristino delle zone umide è ottimo modo per ristabilire il recupero naturale del carbonio, un metodo di geoingegneria a basso rischio, e raccogliere i benefici dei servizi ecosistemici da esse forniti. Ora i ricercatori dell’Ohio State University hanno dimostrato che dopo 15 anni, non importa se queste zone umide siano state piantate da esseri umani o se siano del tutto naturali: vengono ri-colonizzate da piante e animali, addirittura migliorando la già efficace funzione che la natura le ha dato normalmente.

Dopo il monitoraggio dei progressi ottenuti da due impianti sperimentali di zone umide nel campus, inseriti nel Wilma H. Schiermeier Olentangy River Wetland Research Park, i ricercatori hanno scoperto che

le due zone umide contenevano quasi lo stesso numero di specie vegetali, ed i loro tassi di conservazione dei fosforo nitrati – sostanze nutritive che possono diventare potenziali contaminanti delle acque – sono stati quasi identici. Entrambe le zone umide trattenevano il carbonio nel loro suolo, con questa funzione di deposito di CO2 che aumentava costantemente nel corso degli anni.

Legambiente boccia il lago di Garda

Nell’ambito della campagna di analisi delle acque e rilevazione dati sullo stato di salute degli specchi lacustri italiani, Goletta dei Laghi, Legambiente ha bocciato il lago di Garda.
Nel lago più grande d’Italia sono infatti ben 17 i punti risultati inquinati. Dieci si trovano sulla sponda lombarda. Nello specifico sono stati etichettati come fortemente inquinati i campioni prelevati a Tignale, Toscolano Maderno, Salò, Moniga del Garda, 2 punti a Desenzano del Garda e 2 a Sirmione, mentre ne sono usciti semplicemente inquinati quelli di Tremosine e Limone del Garda.

Non va meglio per i torrenti veronesi che finiscono nelle acque del lago: delle sei foci analizzate, una a Garda è risultata inquinata, le altre cinque, una a Bardolino, due a Castelnuovo, una a Peschiera e una a Lazise fortemente inquinate. Si tratta nel dettaglio del torrente Gusa a Garda; del torrente San Severo a Bardolino; del Rio Dugale dei Ronchi (vicino a Gardaland), del lido comunale-località Campanello a Castelnuovo; del Rio Sermana in località Sermana a Peschiera; del fosso Mara a Lazise.

Marea nera, ecco che fine ha fatto il petrolio disperso

Alla notizia che Static Kill stesse funzionando e la marea nera fosse definitivamente bloccata, tutto il mondo ha tirato un sospiro di sollievo. Ma poi la BP è riuscita a rovinare anche questo momento trionfale con un’altra delle sue uscite fuori luogo. Secondo i portavoce della compagnia britannica,

tutto il petrolio è scomparso.

Stephen Colbert, comico e presentatore americano, ha detto (scherzando) che l’avrebbe trovato, ma pare che sia stato anticipato. Alla domanda “dove sono finiti i 150 milioni di galloni (oltre 568 milioni di litri) di petrolio scomparsi” risponde il New York Times con un grafico molto chiaro che troverete dopo il salto.

Cambiamenti climatici: e i canguri non saltano più

I canguri non saltano più a causa dei mutamenti climatici in atto che sarebbero responsabili di un cambiamento nella conformazione ossea dei marsupiali australiani. O almeno questo è quanto si afferma in un recente studio pubblicato sul Zoological Journal of the Linnean Society, e condotto da un équipe di paleontologi australiani della Flinders University di Adelaide e della Murdoch University di Perth.

Gli studiosi sostengono che i canguri si sarebbero adattati al surriscaldamento globale con modifiche anche sostanziali nella struttura ossea, nella forma dei piedi, nella dentatura, nel peso e in altezza. Il tutto per potersi spostare in nuovi territori ma anche per alimentarsi in modi nuovi. Come? E’ presto detto: niente più balzi verso l’alto per raggiungere le piante bensì un sostentamento che viene dal terreno, in basso, il che li porterebbe a non aver più alcun bisogno di saltare.