Le 5 specie a cui “conviene” la guerra

tigre

Quando si dice che non tutti i mali vengono per nuocere. Il primo impatto su qualsiasi specie che vive in una zona di guerra è terribile. Insieme alle persone ferite o uccise anche gli animali subiscono un destino simile. Mentre per alcune specie una zona di conflitto non è un posto per vivere, per altre, grazie all’assenza improvvisa in vaste aree dell’uomo, l’esistenza comincia a diventare un tantino più semplice. Quella che viene prima alla mente è la tigre, che trova cadaveri di cui nutrirsi per il più facile dei pasti, ma non è solo questo a fare la differenza.

Queste 5 specie, nei decenni scorsi, hanno prosperato mentre gli esseri umani erano impegnati a lottare tra di loro. E chissà che non sperino che le battaglie durino ancora per molto.

1. Tigri. Un caso storico ci riporta alla guerra del Vietnam. Mentre le forze statunitensi distruggevano vaste aree di foreste per stanare i guerriglieri, studi post-guerra mostrano che le zone che non sono state toccate hanno permesso il prosperare di diverse specie animali, tra cui la tigre:

Le tigri (Pantheris tigris), a quanto risulta, hanno imparato che lasciar combattere (gli uomini) avrebbe prodotto cadaveri con cui alimentarsi. Dopo la guerra, i biologi sul campo tornati nelle foreste del Vietnam hanno trovato un numero incredibile di specie che era sopravvissuto alle turbolenze, compreso l’appena scoperto muntjac gigante (Muntiacus vuquangenesis, una specie di cervo) ed il bue Vu Qang (Pseudoryx nghetinhensis).

Polo Sud: registrato caldo record nel 2009

postazione amundsen-scott

Il Polo Sud ha conosciuto il suo anno più caldo della storia nel 2009, secondo i dati appena rilasciati dalla Amundsen-Scott South Pole Station. La temperatura media al Polo Sud l’anno scorso era un agghiacciante meno 47,9 gradi Celsius, ma nonostante la temperatura così rigida, il 2009 passerà alla storia come l’anno più caldo mai registrato dal 1957, da quando cioè vengono annotate le temperature del Polo Sud, come è stato riportato da Peter Rejcek, redattore dell’Antarctic Sun, il mezzo di cominicazione del programma antartico statunitense finanziato dalla National Science Foundation.

Il record precedente è stato pari di meno 48° C, registrato nel 2002, secondo Tim Markle, meteorologo senior alla stazione in Antartide. L’anno scorso è stato anche il secondo anno più caldo mai registrato per il pianeta, secondo le misurazioni della NASA, considerando la temperatura della superficie terrestre come pubblicato qualche settimana fa.

L’anno di caldo record mondiale, nel periodo delle misurazioni strumentali quasi-globali che cominciano nel 1800, era il 2005. Fino al 2010, il Polo Sud è effettivamente andato incontro a due inverni relativamente caldi, senza cioè scendere sotto i meno 73° C. Si tratta di una barriera particolarmente preoccupante per coloro che desiderano entrare nel Club 300 del Polo Sud (per ottenere l’ammissione, la temperatura media dev’essere di -93° C. Questo consiste nello sbalzo termico provato da coloro che fanno una sauna a +200°F, o 93° C, e poi corrono fuori a -100°F o -37°C).

BP: “La marea nera sarà fermata, ma non sappiamo quando” (video)

Per quanto terribile possa sembrare la situazione della marea nera, il presidente di BP, Tony Hayward, ha dichiarato al The Guardian che

la risolvero. Vi dò la garanzia. L’unico problema è che non sappiamo quando.

A questo punto non sappiamo più se ridere o piangere. Questa dichiarazione accompagna il video che mostra la falla nella piattaforma petrolifera del Golfo del Messico, la quale sta facendo fuoriuscire l’equivalente di circa 5000 barili di petrolio al giorno, tutti dispersi in mare. Un video agghiacciante che fa rimanere ancor più di sasso leggendo la superficialità delle misure intraprese dalla BP prima e dopo il disastro. Ma non finisce qui, perché Hayward ha rincarato la dose.

Marea nera, Obama propone autotassazione

animali nel petrolio

A 3 settimane dalla tragedia del Golfo del Messico, con l’esplosione della piattaforma petrolifera della BP e la morte di 11 persone, è arrivata la prima mossa politica. Siccome negli Stati Uniti le regole sulla sicurezza di tali impianti sono molto meno rigide che altrove, Barack Obama ha deciso di cambiare rotta e porre delle regole più ferree.

Il presidente statunitense ha proposto di tassare le compagnie petrolifere che agiscono nell’area degli Stati Uniti con un centesimo a barile estratto. In questo modo la tassa non peserà tanto sulle aziende, visto che ogni barile è poi rivenduto a 70-80 dollari, ma in questo modo si otterrano circa 118 milioni di dollari l’anno da investire nella sicurezza delle piattaforme.

Record di taglio della Co2: gli States abbattono del 7% le emissioni in un solo anno

emissioni

La Energy Information Administration (EIA), un’agenzia federale statunitense che controlla l’utilizzo dell’energia, ha presentato ieri una statistica piuttosto sorprendente. Ha infatti riferito che gli Stati Uniti hanno raggiunto un record di taglio delle emissioni di CO2 del 7% nel 2009. Il calo del 7% è il più grande in assoluto, in termini percentuali, per gli Stati Uniti sin da quando si è cominciato a tenere la contabilità completa dei dati energetici annuali nel 1949.

La sorpresa arriva più che altro perché gli States sono stati il Paese che più di tutti ha fatto ostruzionismo a Copenaghen per fissare un limite per la riduzione delle emissioni, e guardando questi risultati non si capisce perché, visto che riesce ad avere risultati migliori di altre nazioni.

L’anidride carbonica è considerata un gas serra ed uno dei principali colpevoli dei cambiamenti climatici. Non è tossica per l’uomo nella sua concentrazione normale, noi la creiamo con ogni respiro. Tuttavia, essa si accumula nell’atmosfera in particolar modo con la combustione dei combustibili fossili, tanto da poter cambiare il clima della Terra. Ridurre la produzione globale di CO2 è il principale obiettivo a lungo termine ambientale di tutte le nazioni civili.

Dai capelli ai “pompon”, per fermare la marea nera la BP le prova tutte

recinti marea nera

La marea nera si sta diffondendo verso ovest, verso importanti canali di navigazione e aree ricche di frutti di mare del litorale della Louisiana, dove i divieti di pesca di gamberetti e ostriche sono stati allargati. Lo stato di emergenza è ormai stato dichiarato in quasi tutta l’area, ma nonostante tutto, la BP non ha la minima idea su come fermare la fuoriuscita di petrolio. Dopo un accumulo di gas cristallizzato nella cupola nella giornata di ieri, gli ingegneri sono stati costretti a ritardare gli sforzi per contenere le perdite, rimandando un nuovo tentativo alla giornata di sabato.

E così BP è stata costretta ad esaminare i modi per superare i problemi che si sono susseguiti, e sta prendendo in considerazione anche le alternative più “fantasiose”. Dagli idrati di gas (un gas metano fangoso che potrebbe bloccare il petrolio facilitandone il recupero tramite una nave) ai BOP (Blowout Preventer) cioè dei macchinari che pompano detriti ad alta pressione sott’acqua, i quali servono per ostruire i fori e ridurre notevolmente il deflusso del petrolio, le stanno provando davvero tutte.

Marea nera: la cupola ha fallito

chiazza petrolio

La piattaforma della BP che il 20 aprile scorso, a causa di un incendio, si è inabissata ed ha provocato il più grande disastro ambientale della storia del Nord America sembra aver subìto una maledizione. Dopo il fallimento dei primi interventi dei tecnici e quello dei robot che dovevano tappare le falle, ancora una volta c’è qualcosa che va storto. La mega cupola di cemento e metallo che doveva servire per limitare i danni ed assorbire il petrolio fuoriuscito ha fallito al suo primo tentativo.

La struttura alta 12 metri e pesante circa 78 tonnellate è stata fissata dai robot sottomarini in profondità a 1.500 metri in modo da bloccare la fuoriuscita di greggio e aspirarne circa l’85%. Purtroppo, a causa della gravità della situazione e soprattutto della sua novità, un’impresa simile non era mai stata effettuata prima, e nemmeno mai sperimentata nelle esercitazioni, e così al primo tentativo è fallita: il petrolio sta continuando ad uscire le macchia ad espandersi.

Il riscaldamento globale anticipa l’estate

estate anticipata

Le indagini condotte da Amy Kirbyshire, un ex studente dell’Università di Sheffield, e il professor Grant Bigg, capo del Dipartimento di Geografia, hanno esaminato le registrazioni delle prime date di fioritura delle piante da fiore all’inizio dell’estate (fenologia) e il calendario della prima occorrenze di caldo estivo, in pratica i due eventi collegati con l’inizio dell’estate. I risultati hanno rivelato che la presenza di “temperature estive è stata anticipata di 11 giorni nel 1990 rispetto al periodo 1954-1963, mentre la fioritura all’inizio dell’estate ha fatto passi in avanti di tre giorni”. Se questa analisi viene estesa al 2007, l’anticipo raggiunge i 18 giorni.

A livello globale, la ricerca ha dimostrato che il clima è stato sottoposto a riscaldamento in significativo aumento nella metà del secolo scorso, con la seconda metà del ventesimo secolo che è stato il periodo più caldo di almeno gli ultimi 1.300 anni, secondo i dati dell’IPCC.

Rischio asma elevato per chi vive vicino all’autostrada

inquinamento autostradeAncora sui danni dell’inquinamento per la salute. Oggi parliamo di asma, un disturbo respiratorio sempre più comune soprattutto tra la popolazione infantile e che è aggravato dall’inquinamento atmosferico e dall’alto livello di polveri sottili nelle grandi città.

Ma anche per chi vive lontano dal trafficatissimo centro, magari in periferia, vicino alle tangenziali e all’imbocco di autostrade e superstrade, il rischio di malattie respiratorie è elevato. Un recente studio effettuato da un’équipe di ricercatori della Mayo Clinic ha scoperto infatti che chi vive in prossimita di intersezioni stradali, stazioni ferroviarie e autostrade ha molte più probabilità di ammalarsi d’asma.

Il Nord America si allea per sostituire gli idrofluorocarburi, i più forti gas ad effetto serra del mondo

idrofluorocarburi

L’agenzia per l’ambiente americana ha annunciato che il Canada e il Messico hanno aderito, insieme agli Stati Uniti, alla proposta di ampliare il campo di applicazione del Protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono per la lotta contro i cambiamenti climatici. La proposta stabilisce di abbattere gli idrofluorocarburi (HFC), che sono un elemento sempre più significativo nell’aggravarsi della situazione climatica.

La US Environmental Protection Agency (EPA) ha avviato l’analisi della proposta, la quale dimostra che i benefici ambientali dell’eliminazione delle emissioni di gas a effetto serra equivarrebbe ad eliminare dalla strada 59 milioni di automobili ogni anno fino al 2020, e 420 milioni di automobili ogni anno fino al 2050. Ridurre gli HFC contribuirebbe ad un lento cambiamento climatico e ridurrebbe i potenziali impatti sulla salute pubblica.

Singapore e Brasile sono i Paesi meno amici dell’ambiente, l’Italia per ora è salva

deforestazione

Un nuovo studio condotto dalla University of Adelaide’s Environment Institute in Australia ha classificato la maggior parte dei Paesi del mondo per il loro impatto ambientale. La ricerca utilizza sette indicatori di degrado ambientale per formare due classifiche: un indice proporzionale sull’impatto ambientale, nel quale l’impatto è misurato a seconda della disponibilità delle risorse totali; e un indice assoluto di impatto ambientale di misurazione totale del degrado su scala globale.

Guidati dal direttore dell’Istituto Ambientale professor Corey Bradshaw, lo studio è stato pubblicato sulla rivista PLoS ONE. I 10 peggiori risultati ambientali al mondo, secondo l’indice proporzionale di impatto ambientale (rispetto alla disponibilità delle risorse) sono stati raggiunti da Singapore, Corea, Qatar, Kuwait, Giappone, Thailandia, Bahrein, Malesia, Filippine e Olanda.

Marea nera, i rischi per la salute

marea nera1

Mentre aspettiamo una stima più precisa dei danni ambientali, economici e gli impatti sulla fauna selvatica dalla fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, c’è un sacco di confusione su cosa questo significhi per la salute delle persone che vivono e lavorano nella regione. Ma può essere interessato anche chi vuol recarsi lì per turismo, incurante del pericolo.

Per questo motivo il sito Treehugger racchiude le domande più comuni per cercare di fare un po’ di chiarezza e confutare alcune leggende metropolitane. Punto primo, cercar di capire cosa c’è di realmente pericoloso per la salute nel petrolio fuoriuscito. Il petrolio contiene un mix di sostanze chimiche. Gli ingredienti principali sono vari idrocarburi, alcuni dei quali possono causare il cancro (per esempio gli IPA o idrocarburi policiclici aromatici); altri idrocarburi i quali possono causare irritazioni della pelle e delle vie aeree. Ci sono anche alcuni idrocarburi volatili chiamati VOC (composti organici volatili) che possono causare tumori e danni riproduttivi e neurologici. Ma il petrolio contiene anche tracce di metalli pesanti come mercurio, arsenico e piombo.

Il riscaldamento globale porterà temperature troppo alte per la sopravvivenza umana

caldo eccessivo

Gli scenari ragionevolmente peggiori sul riscaldamento globale potrebbero portare a temperature mortali per l’uomo nei secoli a venire, secondo i risultati della ricerca effettuata presso la Purdue University e la University of New South Wales, Australia. I ricercatori per la prima volta hanno calcolato la temperatura di bulbo bagnato massima tollerabile, ed hanno scoperto che essa potrebbe essere superata per la prima volta nella storia umana negli scenari climatici futuri, se le emissioni di gas ad effetto serra continueranno al loro ritmo attuale.

La temperatura cosidetta “di bulbo bagnato” è equivalente a ciò che si sente quando la pelle bagnata è esposta al movimento dell’aria. Comprende la temperatura e l’umidità atmosferica e viene misurata mediante la copertura di un termometro standard con un panno bagnato e ventilandolo continuamente.

I ricercatori hanno calcolato che gli esseri umani e molti mammiferi, la cui temperatura interna del corpo vicino a 36,6 gradi Celsius, sarà interessata da un livello potenzialmente letale di stress da calore di bulbo bagnato a causa di una temperatura superiore a 35 gradi per sei ore o più al giorno, ha spiegato Matthew Huber, docente di scienze atmosferiche e della Terra alla Purdue e co-autore del documento che sarà pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.

Marea nera: la denuncia di Greenpeace

operai marea nera

La maxi-cupola sta arrivando. Un’enorme campana di vetro sta per raggiungere le coste della Louisiana dove cercherà di limitare i danni della fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma BP. Peccato che per molti ormai il grosso del danno è stato fatto. I pescatori sono stati “ingaggiati”, al doppio della paga, per ripulire le acque vicine alla costa. Ma dopo che la pulizia sarà stata effettuata che ne sarà di loro? Non si potrà mangiare più pesce per decine di anni, sempre che qualche animale resti in vita, vista la morìa di tartarughe e tonni rossi che vengono a galla in tutto il Golfo del Messico.

Ma per Greenpeace non è una novità. Sotto accusa è prima di tutto Barack Obama. Proprio lui aveva autorizzato quella trivellazione, anche se a sua discolpa c’è da dire che l’amministrazione americana aveva chiesto alla BP, poche settimane prima dell’incidente, di migliorare le norme di sicurezza, cosa che non è stata fatta. Addirittura si dice che la compagnia britannica sia andata a scavare anche più in profondità rispetto a quanto non fosse autorizzata, ma capire le cause adesso passa in secondo piano. La rabbia ora è concentrata sul fatto che un disastro simile si poteva benissimo evitare. Per questo Greenpeace si pone 6 domande e si dà altrettante risposte, una più agghiacciante dell’altra. Le trovate dopo il salto.