Marea nera, Obama propone autotassazione

di Redazione 1

animali nel petrolio

A 3 settimane dalla tragedia del Golfo del Messico, con l’esplosione della piattaforma petrolifera della BP e la morte di 11 persone, è arrivata la prima mossa politica. Siccome negli Stati Uniti le regole sulla sicurezza di tali impianti sono molto meno rigide che altrove, Barack Obama ha deciso di cambiare rotta e porre delle regole più ferree.

Il presidente statunitense ha proposto di tassare le compagnie petrolifere che agiscono nell’area degli Stati Uniti con un centesimo a barile estratto. In questo modo la tassa non peserà tanto sulle aziende, visto che ogni barile è poi rivenduto a 70-80 dollari, ma in questo modo si otterrano circa 118 milioni di dollari l’anno da investire nella sicurezza delle piattaforme.

E’ proprio questo il problema alla base del disastro ambientale che ha colpito Louisiana, Florida, Alabama e Messico. La piattaforma Deepwater Horizon, dicono i vertici della British Petroleum, non aveva superato un test sulla sicurezza effettuato proprio la mattina dell’incidente. Ma non si è fatto in tempo a porvi rimedio a causa dell’esplosione. Questa scusa suona molto come le morti bianche che avvengono in Italia sempre nel primo giorno di lavoro, ma intanto una soluzione a questo dramma va trovata.

Nel frattempo l’altro dramma, la marea nera che continua ad inondare le coste americane e messicane, rimane inarrestabile. Un quotidiano russo ha proposto di far esplodere una bomba atomica sottomarina per fare in modo che le rocce vadano a sotterrare la piattaforma, mentre i responsabili della BP sono pronti per ritentare con una nuova cupola, la quale verrà installata nella giornata di domani.

Ma anche l’Italia ha subìto un disastro simile nel 1994. Il pozzo dell’Agip di Trecate, vicino Milano, subì un’esplosione simile per dinamica a quella della BP di questi giorni. All’epoca le prime soluzioni che furono trovate furono le stesse proposte anche in quest’occasione: incendi controllati e l’apertura al massimo degli altri pozzi per far defluire il petrolio. Ma la situazione italiana dell’epoca fu molto più semplice. Il pozzo infatti si trovava a terra, e non nell’oceano a 1.500 metri di profondità, e così, probabilmente per il calore sprigionato, la piattaforma crollò su sé stessa, tappando tutte le falle automaticamente. Una situazione che purtroppo nel Golfo del Messico non è replicabile.

Fonte: [Corriere della Sera]

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