Banca Mondiale, nel 2050 le inondazioni costeranno 750 mld l’anno

di Redazione 1

inondazioniLa Banca Mondiale presenta un suo nuovo studio legato ai cambiamenti climatici e alle correlate ripercussioni economiche: nel 2050, scrivono gli esperti, le inondazioni costeranno 750 miliardi di euro l’anno per i danni e i pericoli alle città costiere. Per mettere in sicurezza tutte quelle analizzate basterebbero 50 miliardi di dollari all’anno.

Un nuovo monito sui cambiamenti climatici e in particolare sulle inondazioni conseguenti arriva dalla Banca Mondiale, che come è lecito aspettarsi analizza la questione sotto il profilo economico. Nel fosco quadro delineato dagli esperti prendendo in esame 136 città al terzo posto per maggiori perdite troviamo per altro una città italiana dietro Alessandria in Egitto e Barranquilla in Colombia: si tratta di Napoli.

Sostanzialmente la Banca Mondiale sottolinea come le perdite di 6 miliardi dollari annui tenendo conto solo di Miami, New York, New Orleans e Guangzhou in Cina sono destinate a crescere esponenzialmente se andiamo a considerare la possibile (e al momento probabile) evoluzione dei centri urbani costieri nel prossimo futuro, tenendo bene a mente l’aumento demografico e la subsidienza, assieme a diversi altri fattori. Senza interventi per le città prese in esame nel complesso si arriverà a spendere oltre un trilione di dollari.

Come sottolineano tuttavia gli autori, lanciando un esplicito messaggio di allerta e di razionale ed economicistico calcolo, tuttavia, “difendere tutte e 136 le città costerebbe 50 miliardi di dollari l’anno, molto meno quindi rispetto alle possibili perdite”.

Ovviamente qui non si tratta tanto di dibattere sulle ripercussioni ambientali dei cambiamenti climatici, quanto di porre all’attenzione degli uomini nelle stanze dei bottoni dei dati di pura ragionevolezza, che vedono nella lotta al cambiamento climatico e nelle contromisure allo stesso operazioni che non solo sono dettate dal pericolo per la popolazione, ma anche dalla convenienza.

Non è certo il primo studio di questo genere, ma questa interessante ricerca, aggiungendosi alla letteratura esistente, si spera riesca a mettere una pulce nell’orecchio a chi di dovere.

Photo credits | Dvidshub su Flickr

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